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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2013 alle ore 08:01.

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«Il cliente mi ha chiamato, spiegandomi che l'alternativa era cestinare la lettera oppure eliminarmi dalla lista dei fornitori. Parliamo di un gruppo non proprio marginale, così mi sono rassegnato».

Il pressing sui pagamenti dell'imprenditore lecchese – «non mi citi, per carità» – non è andato a buon fine, ma il suo caso, in realtà, è solo uno dei tanti. Alle cattive abitudini consolidate si aggiungono ora in Italia una lunga fase di recessione e progressive restrizioni al credito, con il risultato di gettare altra sabbia negli ingranaggi del sistema dei pagamenti.
Gli ultimi dati di Cerved Group rilevano infatti tempi che si dilatano, imprese ritardatarie sempre più numerose, aziende protestate ai nuovi massimi storici. La carenza di liquidità è anzitutto visibile nel monitoraggio effettuato da Cerved Group sui tempi di pagamento delle imprese, con la quota di "ritardatarie" salita al 7,1%, quasi in linea con i picchi raggiunti nel 2009. Così come sul mercato si assiste a una progressiva divaricazione dei risultati tra le aziende che esportano e quelle concentrate sul mercato interno, anche nei pagamenti è visibile una polarizzazione dei comportamenti, con una crescita significativa delle imprese che saldano con ritardi superiori ai due mesi ma anche di quelle che onorano le fatture entro i termini concordati.
Il risultato netto resta tuttavia negativo, anche perché la riduzione dei tempi concordati tra clienti e fornitori (63,7 giorni) è stata più che compensata alla fine del 2012 da un aumento dei ritardi, saliti di quasi tre giorni a quota 21,5. L'industria è mediamente più virtuosa, con una quota di ritardatari che si riduce al 5,8%, ma all'interno di questo ambito vi sono settori come largo consumo, mezzi di trasporto e sistema moda che sfiorano il 7 per cento.

Ancora più ampia è però la differenziazione su base geografica, dove Nord-Est e Nord-Ovest contengono la quota dei gravi ritardi al di sotto del 6%, mentre nel Sud si arriva a livelli quasi doppi. Analoga situazione si verifica nei protesti, dove le differenze geografiche, già ampie, tendono ad allargarsi.
Tra ottobre e dicembre dello scorso anno la platea delle società protestate in Italia è lievitata del 16% a 22mila unità, portando il totale annuo a quota 47mila: in entrambi i casi si tratta di nuovi record negativi.
Nei numeri assoluti, aggiungendo al calcolo le ditte individuali, la situazione è ancora peggiore ma il dato preoccupante è proprio quello legato alle realtà più strutturate, dove il livello di protesti è superiore del 47% al periodo pre-crisi. Dal punto di vista settoriale è nelle costruzioni l'area di maggiore difficoltà, con un'incidenza dei protesti che arriva al 3,4%, quasi il doppio rispetto alla media dell'industria.

Su base geografica, come detto, le situazioni sono molto diverse, con Nord-Est e Nord-Ovest a contenere le difficoltà rispettivamente all'1,1% e all'1,5% del totale, mentre per Sud e Isole l'incidenza delle aziende protestate sale al 2,9%, il 50% in più rispetto alla media nazionale.
L.Or.

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