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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2013 alle ore 11:00.

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Il protezionismo nel mondo costa caro all'Europa. L'ultimo rapporto della Commissione europea sulle barriere al commercio e agli investimenti stima infatti in 120-130 miliardi le esportazioni mancate negli ultimi tre anni a causa degli ostacoli incontrati dalle imprese europee. Una cifra molto vicina al deficit commerciale annuale della Ue, che nel 2011 è stato di circa 160 miliardi.

Il conto è particolarmente salato se si considera che il commercio internazionale è ormai la principale àncora di salvataggio per un'Europa in piena recessione. «Sia nel 2011 che nel 2012 - spiega il commissario Ue Karel De Gucht - il commercio estero ha dato un contributo positivo dello 0,6% alla variazione del Pil europeo. Senza l'export insomma la recessione sarebbe stata ben peggiore».
Sul banco degli imputati sono soprattutto Brasile e Argentina, rei negli ultimi dodici mesi di aver alzato nuove barriere. Il rapporto presentato ieri a Bruxelles, il terzo della serie, punta il dito in particolare contro il regime fiscale nel settore dell'auto introdotto dal Brasile per il periodo 2013-17, che riduce la tassa sui prodotti industriali per le aziende che producono in loco.
Una tendenza analoga si riscontra in Argentina, dove il Governo obbliga le imprese in certi settori ad aumentare il contenuto locale della propria produzione. «Argentina e Brasile sono recidivi - denuncia John Clancy, portavoce Ue per il Commercio - Le loro politiche commerciali nei confronti dei partner internazionali devono cambiare se non vogliono subirne le conseguenze».

Il nuovo volto del protezionismo che preoccupa di più la Commissione europea assume insomma le sembianze di incentivi fiscali riservati ai produttori locali, con il chiaro obiettivo di rendere meno competitivi i concorrenti esteri. In questo Brasile e Argentina sono in buona compagnia. Un esempio è la Russia, che il primo settembre 2012, una settimana dopo essere formalmente entrata nell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), ha introdotto una nuova tassa sullo smaltimento e il riciclaggio delle auto. Ai produttori domestici è stato concesso di limitarsi a fornire garanzie sul rispetto delle nuove norme mentre le case internazionali devono pagare la tassa come pre-condizione per entrare nel mercato russo. Niente tassa, niente import, insomma. Un classico caso di discriminazione al quale la Ue sta cercando di porre rimedio attraverso negoziati con Mosca, prima di rivolgersi alla Wto.
Il cavallo di Troia degli incentivi alle produzioni nazionali è stato usato anche nell'ambitissimo settore delle gare d'appalto. È il caso della Cina, la cui normativa consente alle autorità locali di assegnare contratti solo ad aziende che realizzano in Cina fino al 70% del prodotto in questione. Un modo neanche tanto velato per tagliare fuori dalle gare la maggior parte dei concorrenti esteri. Stesso discorso per l'esenzione dall'Iva, sempre a Pechino, riservata solo agli aerei regionali made in China.

In realtà proprio con la Cina la Ue ha ottenuto in sede Wto uno dei più importanti successi degli ultimi anni. Nel gennaio dell'anno scorso l'organizzazione di Ginevra ha infatti dato ragione all'Europa nella disputa con Pechino su quote e tariffe all'export di alcune materie prime: le autorità cinesi hanno annunciato a fine anno che si adegueranno alla decisione della Wto. Resta ancora senza un vincitore invece il braccio di ferro sulle quote alle terre rare, preziose commodities usate nelle energie rinnovabili e nell'industria hi-tech, di cui la Cina ha quasi il monopolio. Il pronunciamento della Wto è atteso entro la fine dell'anno.
Se alcune delle 25 grandi barriere individuate dalla Ue nel precedente rapporto del 2012 sono cadute o stanno per cadere, la maggior parte delle altre restano in piedi. «Nell'ultimo anno - riassume Michelangelo Margherita, alto funzionario della direzione generale Ue del Commercio - sono comparse più barriere di quelle che siamo riusciti ad abbattere». Uno dei settori su cui le difese si stanno alzando un po' ovunque è quello dell'information technology: un'industria ad alto tasso di innovazione che molti Paesi cercano di proteggere anche violando i patti internazionali.

Restano sempre popolari infine i tradizionali strumenti di protezione, cioè i dazi. Un esempio su tutti: lo scorso ottobre il Brasile ha annunciato l'aumento delle tariffe su 100 categorie di beni, tra cui ceramiche, carta e chimica. Un nuovo rialzo su altri 100 prodotti è atteso nelle prossime settimane.

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