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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2013 alle ore 16:56.

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Cosa resta del Mezzogiorno? Poco, anzi nulla. Poiché il Sud si è "rinsecchito", si legge nel rapporto che il Censis ha presentato ieri nell'ambito della giornata dedicata a Gino Martinoli - tra i fondatori del Censis - dal titolo "La crisi sociale del Mezzogiorno" alla presenza del presidente Giuseppe De Rita e del direttore generale Giuseppe Roma. Il Censis usa un modo elegante per dire tante cose tutte insieme: che il Sud ha perso in questi anni energie, sostanza.

Un Sud dimenticato che «si è andato privando nel tempo di strumenti reali in grado di suscitare l'attenzione dell'opinione pubblica e delle élite – si legge nel rapporto –. Con le grandi banche meridionali inglobate nelle corporation finanziarie lombardo-torinesi, i media monopolizzati dal l'asse Roma-Milano catturare l'attenzione non certo semplice». Disattenzione che diventa ancora più rilevante in una fase di difficoltà: tra il 2007 e il 2012 nel Sud il Pil si è ridotto del 10% in termini reali (-5,7% nel Centro-Nord). E la recessione, è la considerazione del Censis, è l'ultimo tassello di una serie di criticità stratificate nel tempo: piani di governo poco chiari, burocrazia lenta, infrastrutture scarsamente competitive, limitata apertura ai mercati esteri e un forte razionamento del credito hanno indebolito il sistema-Mezzogiorno fino quasi a spezzarlo.

Al Sud poi «il sistema imprenditoriale già fragile e diradato è stato sottoposto negli ultimi anni a un processo di progressivo smantellamento, costellato da crisi d'impresa molto gravi come quelle dell'Ilva di Taranto e della Fiat di Termini Imerese. Tra il 2007 e il 2011 gli occupati nell'industria meridionale si sono ridotti del 15,5% (con una perdita di oltre 147mila unità) a fronte di una flessione del 5,5% nel Centro-Nord». E poi: oltre 7.600 imprese manifatturiere del Sud (su un totale di 137mila aziende) sono uscite dal mercato tra il 2009 e il 2012, con una flessione del 5,1% e punte superiori al 6% in Puglia e Campania. «Non si riesce ad attrarre e a generare investimenti – dice l'economista Francesco Asso –. La crisi della grande impresa non è compensata dalla crescita di un tessuto di imprese esportatrici e innovatrici che riesce in maniera significa a intercettare domanda mondiale in crescita».

Nel frattempo non sono state colte le opportunità derivanti dai finanziamenti Ue. I contributi per i programmi dell'Obiettivo convergenza ammontano a 43,6 miliardi per il 2007-2013 ma a meno di un anno dalla chiusura del periodo di programmazione risulta impegnato il 53% delle risorse e spesi 9,2 miliardi (il 21,2%). «L'efficacia dei programmi Ue è discutibile – si legge ancora –. Le risorse spese hanno rafforzato i circuiti meno trasparenti e congelato l'iniziativa imprenditoriale con incentivi senza obbligo di risultato e progetti spesso estranei alle vere esigenze». Per Francesco Izzo, docente di Gestione strategica dell'innovazione alla Seconda Università di Napoli, «è la certificazione dell'incapacità delle regioni di progettare e di spendere i fondi Ue». I risultati dimostrano il fallimento. I livelli di reddito del Sud sono comparabili e inferiori a quelli della Grecia (il Sud ha meno di 18mila euro per abitante, la Grecia 18.500 euro).

La parola chiave sembra essere sfiducia. Quella dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non si formano, i cosiddetti Neet la cui incidenza media nel Mezzogiorno è del 31,9% a fronte del 22,7% nazionale. Le istituzioni accademiche meridionali vedono restringersi la base della loro utenza con decrementi superiori alle due cifre percentuali in quattro delle otto regioni del Sud: Sicilia (-35%), Calabria (-24,6%), Sardegna (-17,5%) e Basilicata (-14,2%). «Non siamo riusciti – dice l'economista catanese Elita Schillaci – a far nulla né per trattenere né per attrarre cervelli e ciò è drammatico se si pensa che il capitale umano è la risorsa chiave». Il 23,7% degli universitari meridionali si è spostato verso il Centro-nord. La spesa pubblica per l'istruzione e la formazione nel Sud è molto più alta rispetto al resto del Paese ma meno efficace: 1.170 euro pro-capite nel Sud rispetto ai 937 euro del resto d'Italia eppure, il tasso di abbandono scolastico è del 21,2% al Sud e del 16% al Centro-Nord. Dal mercato del lavoro non arrivano segnali di speranza: i disoccupati con laurea sono in Italia il 6,7% a fronte del 10% del Sud. In generale, ricorda il Censis, dei 505mila posti di lavoro persi tra il 2008 e il 2012, il 60% ha riguardato il Sud (oltre 300mila) mentre un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni non riesce a trovare un lavoro a fronte di un tasso di disoccupazione giovanile in Italia del 25 per cento.

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