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Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2013 alle ore 19:07.

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Bologna – Le sorti della Faac, il colosso bolognese dei cancelli automatici, sono sempre più intrecciate all'esito del contenzioso giudiziario tra l'Arcidiocesi di Bologna e i parenti di Michelangelo Manini, il patron dell'azienda morto più di un anno fa. Una guerra per l'eredità, con un'altra tappa in Tribunale durante la quale la Curia è stata costretta, oggi, a mettere a disposizione del custode giudiziario i suoi conti correnti, tra i quali un conto in Svizzera sul quale sono depositati 22 milioni di euro e al quale aveva cambiato l'intestazione.

Tutto a fronte di un ordine del giudice Maria Fiammetta Squarzoni, che ha invitato l'Arcidiocesi a rendere conto sia di 35,5 milioni di euro risultati mancanti dal compendio ereditario, sia degli oltre 14 milioni di utili ripartiti nell'assemblea di bilancio del luglio scorso. Tutte le coordinate bancarie sono state messe a disposizione del custode, che adesso ha la piena disponibilità di denaro e titoli. Ma la querelle giudiziaria nata dall'impugnazione da parte dei parenti del testamento con il quale Manini aveva nominato erede universale la Curia rischia di anche di paralizzare l'attività dell'azienda, 1350 dipendenti nel mondo, 250 solo nel quartiere generale di Bologna, un fatturato di 300 milioni di euro. Se n'era accorto già il management nominato dalla Curia, che qualche mese fa aveva chiesto pubblicamente di non stritolare l'azienda in una controversia giudiziaria che vale qualcosa come 1,7 miliardi, l'ammontare dell'eredità, tra somme liquide e patrimoniali.

E ad essere preoccupati, ora, sono anche i sindacati, dato che i dividendi dovevano essere utilizzati per sostenere un piano di investimenti. Piano del quale ancora non c'è traccia. La causa di merito è ancora molto lunga, difficile intravederne la fine nel breve periodo. Con il risultato che anche le relazioni industriali hanno subito una battuta d'arresto. Faac ha stabilimenti in Cina, Russia, Brasile e Malesia. Un'azienda sana che ha saputo attraversare fino ad ora anche la pesante crisi economica. I famigliari di Michelangelo Manini avevano contestato subito la validità del testamento, disconoscendone la grafia e le disposizioni. Ma la Curia, beneficiaria dell'eredità, aveva immediatamente vantato i diritti di proprietà. Una prerogativa che le è stata di fatto contestata dallo stesso custode nominato dal Tribunale. La querelle sui conti correnti non finisce qua. L'Arcidiocesi ha infatti presentato un appello contro il sequestro, al quale i parenti hanno risposto con una memoria depositata dai loro legali. La partita, insomma, prosegue. Prossima tappa il 13 maggio, giorno dell'udienza in cui verrà sentito anche il custode giudiziario.

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