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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2013 alle ore 06:47.

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A gennaio la cessione dell'Antica Ditta Marchisio di Torino, talmente storica da detenere il punzone "1TO", ciclo integrato dal lingotto al pezzo finito, alla svizzera Richemont, il numero due nel mondo del lusso con un portafoglio marchi del calibro di Cartier, Van Cleef & Arpels, Montblanc. Poi la vendita della maggioranza di Gianmaria Buccellati al fondo Clessidra: secondo fonti finanziarie, per il 70% sarebbero stati versati 80 milioni. Infine, verso fine aprile, l'operazione su cui i rumors sono stati più sostenuti, quella di Kering-Ppr su Pomellato, valutata secondo gli analisti due volte il fatturato, cioè 300 milioni (ma sembra che sul tavolo ci fosse solo il 71% detenuto dal fondatore Pino Rabolini).
Nell'industria italiana della gioielleria l'M&A sembra all'ordine del giorno, ancor più che nella moda, anche se i tempi degli sceicchi pronti a inviare gli emissari a Valenza Po per ordinare le scimitarre tempestate di pietre preziose sono alle spalle. E anche quelli delle relative dame, abituate a commissionare parure da Mille e una notte, soprattutto per le frequenti e faraoniche nozze di "corte".
Purtroppo, il fatturato 2012 è calato del 17,7% rispetto al 2007, secondo un'elaborazione di Prometeia su dati Istat, con una performance peggiore rispetto a quelle dell'industria manifatturiera italiana (-12,2%) e del sistema moda (-9,5%). Anche se il 2012 ha registrato una flessione del 2%, sempre secondo Prometeia, rispetto al -4,2% della moda e al -5,2 dell'industria italiana.
«Uno dei nodi – dice Stefano de Pascale, direttore di Confindustria Federorafi – è la dimensione media di appena 3,3 addetti e questo è un ostacolo a quell'internazionalizzazione indispensabile per combattere il crollo del mercato interno, a cui si aggiunge il difficilissimo accesso al credito che in questo campo non riguarda solo gli affidamenti standard ma anche l'acquisto di una materia prima molto costosa, con la segnalazione alla Centrale rischi se si utilizza il prestito d'oro».
D'altro canto, però, nel quarto rapporto "Esportare la dolce vita" di CsC e Prometeia si stima tra il 2012 e il 2018 una crescita delle esportazioni orafe di 831 milioni nei trenta mercati emergenti e in quello statunitense. «È un'ottima opportunità – aggiunge de Pascale – anche se negli Usa, negli ultimi otto anni, abbiamo perso il 60% delle vendite, a causa della concorrenza delle produzioni indiane, cinesi e tailandesi, che non sono gravate dal dazio del 5,8% che zavorra noi europei. A metà giugno, comunque, partiranno i negoziati per il Free trade agreement tra Italia e Usa e non è più un sogno almeno una riduzione dei balzelli, magari già nel 2014».

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