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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2013 alle ore 10:52.

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Imprese efficienti e solide con grosse potenzialità in parte inespresse, soprattutto in due settori tipici del made in Italy come agroalimentare e tessile-abbigliamento. È questo il quadro che emerge da "Il business italiano in Marocco", secondo lavoro realizzato dall'Osservatorio mediterraneo di Srm, istituto di studi e ricerche sul Mezzogiorno partecipato da Intesa Sanpaolo.

«La presenza italiana - spiega Massimo Deandreis, direttore generale di Srm e della ricerca, che sarà illustrata oggi a Roma, in un convegno organizzato da Srm e Istituto affari internazionali - è ancora molto al di sotto del suo potenziale, considerando la vicinanza geografica e facendo un confronto con la Francia, principale e tradizionale partner del Marocco. Per questo esistono grossi margini di crescita, sia per chi voglia avviare nel Paese un'attività produttiva o di fornitura di servizi, sia per chi ne voglia fare un punto di partenza per le esportazioni».

Le imprese marocchine partecipate da capitali italiani sono attualmente circa 140 (quelle francesi un migliaio), danno lavoro a 7mila persone e generano quasi 960 milioni di euro di fatturato (anche in questo caso il gap con i 24 miliardi delle aziende francesi è molto forte). Si tratta però di società con buoni fondamentali e redditività, concentrate soprattutto nel settore manifatturiero (dove opera il 50% delle nostre aziende), edilizio (8%) e dei servizi (38%).

Con quasi 2,3 miliardi di euro di interscambio nel 2011 secondo i dati Srm, l'Italia è il quinto partner commerciale del Marocco (terzo in Europa dopo Francia e Spagna), con un saldo costantemente in attivo (970 milioni di euro nel 2011, non lontano da quello francese). Esportiamo soprattutto macchinari e prodotti del settore tessile e abbigliamento, secondo comparto anche per le importazioni dopo l'agroalimentare. Due settori, questi ultimi, tipici della tradizione italiana, il che apre la strada - sottolinea il report di Srm - a opportunità di integrazioni produttive.

Ma quali sono i principali fattori di appeal del Marocco per un'impresa italiana disposta a investire? «È un Paese di 32 milioni di abitanti - spiega ancora Deandreis - in costante crescita (5% in media tra il 2001 e il 2011, 2,9% nel 2012 e 5,5% quest'anno secondo le ultime stime, ndr). È anche un ponte tra Mediterraneo e Atlantico, nonché verso l'Africa occidentale. Infine è un Paese molto stabile, con un buon compromesso tra stabilità e lenta democratizzazione».

A illustrare i pro e contro del fare business in Marocco contribuiscono tre casi studio di imprese italiane riportati nella ricerca: Air Clima, società che commercializza e installa impianti di condizionamento nel Paese africano, inserita nel 2008 nella lista delle prime mille aziende marocchine per fatturato; Cristalstrass, prima impresa straniera in Marocco e tuttora una delle più importanti aziende italiane produttrici di arredi e illuminazioni di lusso; Indirri Maroc, società che distribuisce impianti e prodotti per l'irrigazione realizzati in Italia da Plastica Alfa.

Tra i vantaggi principali emergono, oltre alla crescita del Paese, la disponibilità e il basso costo della manodopera (il 15% della media Ue), gli ampi e articolati incentivi fiscali (dalla riduzione dell'imposta societaria e sui dividendi, all'abolizione dei dazi sui prodotti importati dalla Ue, all'istituzione di zone franche come quella di Tangeri); tra gli svantaggi si segnalano corruzione e infrastrutture ancora insufficienti, nonostante i grossi passi avanti compiuti negli ultimi anni dal Governo su questo fronte, la bassa produttività e la scarsa disponibilità di credito bancario.

Tutti gli operatori sollecitano un maggiore sostegno al business da parte del sistema Italia (politica e istituzioni), sul modello di quanto fa proprio la Francia, a cui forse - nonostante il Marocco si guardi bene dall'indebolire un rapporto storico e proficuo - non sembra impossibile rosicchiare qualche quota di mercato.

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