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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2013 alle ore 18:14.
«Cosa significa? Solo a Foligno 330 assunzioni nei prossimi anni e 50 milioni di investimenti». Umberto Tonti, vicepresidente esecutivo di Oma, traduce in pochi numeri l'impatto dell'F35 nell'economia reale.
Perché dire sì o no ai caccia multiruolo di Lockheed Martin non significa infatti per l'Italia solo decidere di acquistare o meno dei velivoli da guerra: si tratta anche di una scelta con effetti rilevante per l'economia, l'occupazione, i territori. «Dobbiamo programmare investimenti importanti – spiega Tonti – ma fare impresa è difficile se si lavora in uno scenario incerto: se per i politici questo dibattito è un modo per prendere tempo, per gli imprenditori significa perdere opportunità. D'altra parte un Paese che non ha il coraggio di tagliare la spesa corrente ma riduce gli investimenti non ha futuro, questo è il modo più rapido per eliminare le aziende hi-tech».
Oma, così come decine di altre aziende italiane, è impegnata in una fornitura di lungo termine per componenti e lavorazioni legate all'F35, con sei milioni di investimenti già effettuati e altri 37 in arrivo da qui fino al 2040. L'impatto sul territorio è rilevante, perché insieme ad un'altra azienda di Foligno, la Ncm, si punta ad assumere altre 330 persone nei prossimi anni, con la garanzia di una commessa di lungo termine assicurata.
Certezze che ora non sono più così granitiche, anche se la politica sembra optare più per una decisione interlocutoria, rimandando le scelte definitive.
«Eh sì, stavo proprio guardando su internet, speriamo che la commessa proceda». Fulvio Boscolo, imprenditore piemontese, segue minuto per minuto l'evoluzione del dibattito e anche nella sua azienda, la Lma, sono in gioco altri posti di lavoro. «Su questo ordine abbiamo già fatto molti investimenti – spiega Boscolo e per noi a regime la commessa per l'F35 significa 30-40 assunzioni: ecco perché spero si possa procedere, per dare alle aziende la possibilità di inserire nuovo personale».
Il fulcro dell'impegno italiano nel progetto è il maxi-sito di Cameri nel novarese, che ha già avviato le consegne dei primi componenti di ali negli Usa mentre l'assemblaggio del primo velivolo italiano inizierà dal 18 luglio. Le commesse legate all'F35 Lockheed Martin già acquisite per l'Italia sono arrivate a un miliardo di dollari, con la stima di avere ricadute industriali per 14,6 miliardi, tenendo conto che il sito di Cameri si trasformerà in hub di manutenzione per l'intera zona dell'Europa e del Mediterraneo con la possibilità di intervenire per le verifiche e l'aggiornamento di 500-600 velivoli.
L'eventuale stop alla commessa italiana potrebbe però pregiudicare l'intero investimento nell'impianto («sarebbe devastante» ci spiega un ingegnere della base) vanificando un esborso di 720 milioni di euro già quasi interamente realizzato e fermando non solo l'assemblaggio italiano di caccia ma soprattutto l'intera fornitura di ali per il programma mondiale, fornitura stimata in circa 850 unità, dove per "ali" si intende in realtà il 40% del costo totale dell'intero velivolo, dunque svariati miliardi di euro.
Le aziende direttamente coinvolte nella commessa sono una sessantina, alcune con forniture dirette al sito di Cameri e in gran parte già realizzate, altre che forniscono direttamente Lockheed Martin o suoi contractor diretti.
«Per noi Cameri vale una decina di milioni di euro, che però abbiamo già in gran parte incassato» – spiega l'amministratore delegato di Jobs Marco Livelli.
L'azienda piacentina di macchine utensili ha infatti già installato nel sito novarese numerosi impianti di foratura e fresatura per le parti del velivolo e altre tre macchine sono in consegna entro fine anno. «Certo - aggiunge - si tratta di macchinari di altissima tecnologia con livelli di precisione elevati: non utilizzare l'impianto sarebbe un vero peccato, si getterebbe al vento l'intero investimento».
«Sarebbe un gravissimo errore - aggiunge un'altra imprenditrice lombarda del settore - perché nel progetto il Paese ha già investito moltissimi soldi, e allo stesso modo si sono impegnate molte aziende».
«Noi siamo coinvolti sull'intero programma mondiale – spiega l'imprenditrice varesina Claudia Mona - e quindi la commessa italiana conta relativamente. Certo, uno stop sarebbe deleterio per tutti, considerando che i contribuenti italiani avrebbero pagato per costruire a Cameri una cattedrale nel deserto».
Ma anche chi ha commesse dirette con gli americani non dorme sonni tranquilli, considerando cosa è accaduto negli ultimi mesi. «I canadesi hanno congelato il progetto - conclude Tonti – e così gli americani hanno deciso di cancellare molte commesse alle aziende locali. Se l'Italia esce dal progetto non credo ci penseranno due volte a lasciarci fuori...»
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