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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2013 alle ore 21:48.

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O il pragmatismo inglese sbatte una volta di più contro la complessità del mondo moderno, o siamo ai primi lampi di un improbabile scontro commerciale nell'Europa della libera circolazione di beni e servizi. Il club Med rientra nel mirino britannico, questa volta non più in nome dell'elastica contabilità della spesa pubblica meridionale che tante , indirette angustie ha creato all'economia britannica, ma per il carico di zuccheri, grassi, sali che si dice zavorrino i simboli nazionali del fianco Sud. L'attacco è alla dieta mediterranea fatta di parmigiano e sughi al pomodoro , jamon serrano e prosciutto di Parma fino al camembert francese, solo per citare una pattuglia di tipiche celebrità gastronomiche del mezzogiorno dell'Unione.

Per capire il nuovo contenzioso anglo-euromediterraneo che si va delineando è necessario tornare al 19 giugno quando il governo di David Cameron ha raccomandato a distributori e produttori di stampare sulle proprie confezioni un semaforo: verde se il prodotto è adeguato, giallo se merita attenzione, rosso se è da considerare off limits. Le categorie sono sali, grassi e zuccheri, eterni alleati di colesterolo e glicemia. Un problema non da poco per i sudditi del Regno che hanno aspettative di vita più basse di quelle italiane e un tasso di obesità tale da spingere il Telegraph ad adattare il vecchio motto che voleva la Gran Bretagna the sick man of Europe, ovvero il malato d'Europa, in the fat man of Europe, ovvero il ciccione d'Europa.

Se il vessillo è la lotta all'obesità la risposta è una pedata alla tradizione agroalimentare del Sud, fatta di prodotti a denominazione d'origine che spopolano al Nord. Il semaforo inglese sarà rosso per gli inevitabili grassi del parmigiano o per il sale del Jamon serrano, creando una discriminazione diretta su cibi da sempre considerati pietra angolare della dieta mediterranea. Né, per pareggiare i conti, basta precisare che il bollino non ha valenze autarchiche - essendo rosso anche per il britannico cheddar o tante altre produzioni locali -perchè l'impatto sulla varietà di prodotti del Sud esportati nel Regno promette di essere dirompente rispetto alla realtà più limitata dell'agroalimentare made in United Kingdom. Neppure ci si può trincerare dietro il fatto che il governo "raccomanda" e non "ordina", perché il rischio della discriminazione con l'esposizione al pubblico ludibrio di chi non adotta il suggerimento è già stato immaginato dalle forze politiche di Westminster, sia dentro che fuori l'esecutivo. Tanto è vero che i maggiori distributori si sono adeguati confermando l'adozione da settembre del semaforo alimentare, mentre i produttori si sono divisi. Le associazioni di categoria promettono di appellarsi all'Ue. Il rischio è che si apra un nuovo fronte euro-britannico, con Londra pronta a inalberare un'altra campagna, ad alto tasso di demagogia politica, contro le interferenze di Bruxelles, qualora Bruxelles dovesse accogliere le istanze che si leveranno da Roma e Madrid, Parigi e Atene.

Tutto questo per qualche chilo in più? Non esattamente. Sui rischi di eccessive rotondità siamo tutti sufficientemente avvertiti, ma sulla lotta per contenere il fenomeno evidentemente no. Il semaforo rosso indurrà molti sudditi di Elisabetta a eliminare dal tavolo leccornie di antica tradizione, ma non potrà bastare per ridar loro la silhouette perduta. Lo credevamo sufficientemente ovvio. Quando il pragmatismo inglese si fa esemplificazione estrema dimostra, invece, di non riuscire a misurarsi con la complessità di oggi. La soluzione non è l'additivo che aggira lo zucchero, ma l'alchimia di una dieta equilibrata, realtà che resta lontana dagli standard nazionali del Regno con la sola, possibile, eccezione di Londra. La replica che immaginiamo si potrà levare da Whitehall suonerà più o meno così: siamo coscienti che la salute alimentare dipende dalla quantità e dalla combinazione dei cibi non dal singolo prodotto, ma il messaggio deve essere diretto per poter essere compreso dal grande pubblico. I consumatori inglesi, in altre parole, avrebbero bisogno di espliciti "consigli per gli acquisti" firmati dal governo. Se, invece, così non fosse, se, cioè, si stesse delineando un attacco deliberato a industrie chiave per Paesi partner - e per ora non abbiamo motivi di crederlo - lo scenario sarebbe diverso e molto più drammatico.

In qualunque caso l'intreccio fra la raccomandazione di Londra e le norme della concorrenza e della libera circolazione disegnano una querelle in rapido divenire con i contorni di un possibile contenzioso, prologo a un clash intraeuropeo che andrebbe a scuotere le regole di fondo della convivenza comunitaria.

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