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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2013 alle ore 15:28.
Da una parte l'impegno a raddoppiare le nostre estrazioni di petrolio e gas, sancito nel Piano Energetico Nazionale varato nei mesi scorsi dopo non pochi tormenti. Dall'altra la conferma della stretta alle esplorazioni imposta dall'ultimo Governo Berlusconi: con il Codice ambientale voluto dall'allora ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo la zona di divieto delle attività petrolifera era stata portata da 3 a 12 miglia dalle coste. Il chiarimento, se così si può dire, è arrivato ieri pomeriggio, quando il ministro dello Sviluppo in carica, Flavio Zanonato, ha varato un decreto con il quale annuncia la "rimodulazione" delle regole, promette di tener fede alla prima promessa ma intanto attua in pieno il secondo e assai più prudente provvedimento, dimezzando o quasi le aree marine italiane dove i petrolieri potranno fare il loro lavoro e gli italiani potranno colmare almeno in parte il pesante deficit energetico del paese.
Ed ecco che il decreto varato ieri «determina - afferma direttamente Zanonato in una nota - un quasi dimezzamento delle aree complessivamente aperte alle attività offshore, che passano da 255 a 139 mila chilometri quadrati, spostando le nuove attività verso aree lontane dalle coste e comunque già interessate da ricerche di Paesi confinanti, nel rispetto dei vincoli ambientali e di sicurezza italiani ed europei».
«In particolare - specifica il ministro - il decreto determina la chiusura a nuove attività delle aree tirreniche e di quelle entro le 12 miglia da tutte le coste e le aree protette, con la contestuale residua apertura di un'area marina nel mare delle Baleari, contigua ad aree di ricerca spagnole e francesi».
Una nuova area di esplorazione ben lontana dall'Italia. Con la cancellazione, però, dell'intero Mar Tirreno, di tutte le aree costiere della Sardegna e di buona parte del ricco (anche di idrocarburi) Canale di Sicilia. Un siluro, di fatto, alle promesse di incrementare comunque l'apporto nazionale alle nostre fonti energetiche tradizionali? Il ministro nega. «Coniughiamo ambiente e sviluppo» afferma.
«Con questo provvedimento - puntualizza Zanonato - sosteniamo lo sviluppo delle risorse nazionali strategiche, concentrando le attività di ricerca e sviluppo di idrocarburi in poche aree marine a maggior potenziale e minor sensibilità ambientale». E in ogni caso «il decreto prevede l'impiego dei più elevati standard di sicurezza e di tecnologie di avanguardia nelle quali le aziende italiane detengono una posizione di leadership internazionale».
Più che prevedibili le proteste dei nostri petrolieri. Proprio nelle ultime settimane l'Assomineraria aveva aggiornato le sue stime tecnico-economiche sulle nostre attività di upstream, producendo uno studio nel quale si puntualizza che con l'attuale modesto apporto del 10% al nostro fabbisogno di idrocarburi le estrazioni nazionali abbiamo comunque ridotto nel 2012 di 6,3 miliardi di euro la bolletta energetica pagata dal nostro paese ai fornitori esteri. Contribuendo, sul versante fiscale (imposte, royalties, canoni) per oltre 1,6 miliardi alle casse dello Stato e delle amministrazioni locali.
Cifre importanti, che diventano ancora più importanti considerando - rimarcano in Assomineraria - il contributo complessivo della nostra filiera alla bilancia commerciale: 26 miliardi di euro nel 2012.
Tutto ciò - sostiene l'associazione confindustriale - assicurando le migliori garanzie di sicurezza e tutela ambientale, con aree che fino ad oggi hanno coperto in ogni caso «meno del 15% dei mari italiani» contro uno sfruttamento che negli altri paesi mediterranei va «dall'80 al 100%».
Incalza anche la Fedepetroli. «Da anni continuiamo a lottare per far capire alle regioni e a parte della popolazione che nella nostra amata terra c'è un grande potenziale energetico con piena sostenibilità ambientale, ancora da sfruttare» afferma il presidente dell'associazione, Michele Marsiglia, ricordando in particolare come la Basilicata rappresenti «un grande giacimento di risorse energetiche ed ancora un numero considerevole di progetti di esplorazione idrocarburi fanno fatica a decollare».
E intanto «in Italia gli investimenti stranieri che rischiano di essere vanificati, come l'importante progetto Ombrina Mare a largo delle coste abruzzesi, le concessioni onshore ed offshore in Puglia, i progetti in Sardegna. Per non parlare di altre regioni come Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche e Sicilia». Tutto ciò «mentre la Grecia, Montenegro, paradisi ambientali come le Seychelles e l'Islanda pubblicano gare aperte a tutte le aziende petrolifere per nuove esplorazioni».
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