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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2013 alle ore 09:57.

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Squinzi: «L'industria italiana è appesa a un filo» - Il gruppo Riva chiede la Cassa

Bastano pochi numeri per fotografare la drammatica situazione provocata dallo stop della produzione elettrosiderurgica in sette stabilimenti del gruppo Riva, concentrati nel Nord Italia. Oltre ai 1.400 esuberi diretti, la fermata degli impianti coinvolge un indotto che "vale" 1,8 miliardi (salgono a 2,4 miliardi se si considerano le attività all'estero): soltanto in Piemonte sono 13mila le aziende che "dipendono" dalla fabbrica di Cuneo e 5mila gli artigiani che ricevono materiale da quello di Verona. Oltre ai possibili effetti sui prezzi delle materie prime che rischiano forti rialzi (fino al 20%). Di questa nuova emergenza industriale abbiamo parlato con il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi.

Il fermo degli impianti non Ilva del gruppo Riva rappresenta un colpo drammatico per l'industria italiana proprio nel momento in cui si intravvedono segnali di ripresa.
Forse non ci si rende conto che siamo appesi a un filo. Si rischia di uscire da settori strategici come l'acciaio, la meccanica, la componentistica non certo per mancanza di ingegno e di capacità, ma per mancanza di materia prima da lavorare.
E questo non può sembrare un paradosso? Mi chiedo se questa è l'Italia che vede tra i valori della Costituzione il lavoro e la produzione. La fermata delle fabbriche, in un settore strategico del nostro sistema industriale, è ancora più drammatica se pensiamo che avviene in una fase in cui la ripresa, seppur di debole intensità, comincia a manifestarsi.

Confindustria ha già quantificato le conseguenze per l'indotto della filiera produttiva dell'acciaio che si trova a corto di materia prima?
Da parte nostra c'è grande preoccupazione. Oggi (ieri per chi legge, ndr) ho ricevuto come presidente di Confindustria molte telefonate (e con me anche le strutture di Confindustria) da parte di imprenditori che lanciavano un appello drammatico perché gli stock di acciaio forniti dal gruppo Riva iniziano ad esaurirsi con danni incalcolabili sia sul piano produttivo sia sul versante occupazionale.

È un fenomeno localizzato soltanto in alcune aree del Centro Nord del Paese?
Purtroppo non è un fenomeno limitato perché le segnalazioni di estrema preoccupazione sono arrivate dalle province più industrializzate del Nord ma anche da tutta Italia. Se a questa situazione si aggiungono le difficoltà di Taranto possiamo dire che l'emergenza è nazionale.

Quali iniziative avete messo in campo come Confindustria?
Abbiamo avviato una serie di consultazioni al nostro interno e mi sono attivato con il presidente del Consiglio, Enrico Letta, e con i ministri competenti. Alla politica chiediamo già da molto tempo un quadro di certezze giuridiche in cui operare. D'altra parte l'aggravarsi della situazione evidenzia in maniera emblematica la carenza in questa direzione. Stiamo anche studiando possibili proposte per superare l'emergenza di questi giorni. Abbiamo anche avviato un esame dettagliato delle conseguenze derivanti da questa situazione per valutare quali interventi saranno necessari.

Quali sono i possibili effetti sociali dalla chiusura delle fabbriche?
La situazione rischia di diventare drammatica. Già oggi (ieri per chi legge, ndr) si sono registrate agitazioni degli addetti nelle aziende chiuse e in quelle fornite dal gruppo Riva. Penso con preoccupazione non soltanto alle 1.400 famiglie direttamente coinvolte nel fermo dei forni elettrici ma anche a quelle dei lavoratori che rischiano di essere travolte da una crisi a cascata.

Per l'industria italiana è un ulteriore handicap nella competizione internazionale?
Sicuramente quanto sta accadendo avrà come esito quello di una ulteriore perdita di competitività, un rischio che Confindustria ha segnalato con forza già nei mesi scorsi, con il risultato finale per l'Italia di uscire dal novero dei Paesi avanzati dal punto di vista industriale. In modo particolare vengono a mancare le fonti di fornitura di prodotti fondamentali per l'industria meccanica di trasformazione che, in questo momento, contribuisce in maniera determinante alle esportazioni e rappresenta uno dei fiori all'occhiello del nostro sistema manifatturiero.

Considera questa una vicenda emblematica sui rischi di deindustrializzazione del Paese?
Questa vicenda ci pone una domanda inquietante: dobbiamo decidere una volta per tutte se rimanere un Paese che prende forza dall'industria oppure no. Ecco perché la vicenda è emblematica e potrebbe incidere sull'attrattività dell'Italia per i futuri investimenti in un momento decisivo per agganciare la ripresa economica internazionale che da noi purtroppo è ancora debole.

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