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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2013 alle ore 08:43.

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MILANO
Le prime riunioni risalgono a luglio. I tecnici di Ilva, insieme agli operai, hanno iniziato a lavorarci da inizio settembre, nel cuore dell'acciaieria tarantina, lontani dai clamori dei dibattiti pubblici e dalle polemiche giudiziarie. E dopo quasi un mese di sperimentazione, i primi risultati sono positivi: sta infatti assumendo fattezze sempre più concrete, giorno dopo giorno, l'ipotesi di un graduale addio al carbone da parte di Taranto.
«L'impostazione del commissario Enrico Bondi – spiega Carlo Mapelli, ordinario di metallurgia e siderurgia al Politecnico di Milano e consulente di Ilva per l'applicazione dell'Aia – è stata chiara fin dall'inizio: realizzare i provvedimenti prescritti dall'Aia e aumentare la produttività e il rispetto per l'ambiente e per la salute, anche per mezzo di tecnologie innovative». Per farlo, il primo imperativo è eliminare il problema alla radice, mandando in pensione una parte significativa delle cokerie e, più in generale la configurazione classica di fine diciannovesimo secolo: cokeria-altoforno-convertitore.
Per questo motivo, strade alternative «pulite», come la tecnologia Corex/Finex (se ne sta discutendo per la Lucchini di Piombino) sono state prese in considerazione, ma abbandonate velocemente, perchè contemplano comunque l'uso del carbone fossile. La svolta di Ilva vuole essere radicale. «Al posto del carbone fossile – continua Carlo Mapelli, si vuole utilizzare il gas naturale come materia prima del processo dal quale si ricavano monossido di carbonio e idrogeno, ottenendo così un nuovo materiale, che prende il nome di pre-ridotto». Questa materia prima viene utilizzata in parte negli altoforni e in parte nei forni convertitori dell'acciaieria. Ad oggi nel mondo se ne producono circa 5 milioni di tonnellate al mese (ad agosto, secondo i dati di World Steel, l'output è cresciuto del 13% rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente), soprattutto in Iran, India, Messico e Arabia Saudita.
L'austriaca Voestalpine ha recentemente annunciato che realizzerà uno stabilimento negli Stati Uniti per la preriduzione del minerale ferroso, con una capacità produttiva complessiva di 2 milioni di tonnellate all'anno. «Il pre-ridotto – conferma Mapelli – è già utilizzato da qualche anno, nei forni elettrici, soprattutto nei paesi che hanno grande disponibilità di gas naturale, come i Paesi arabi, o nell'America del sud. La sfida che stiamo portando avanti a Taranto, per certi versi unica, è utilizzare il pre-ridotto per un impianto vasto e complesso come Ilva».
A questo scopo l'azienda se intenderà proseguire su questa strada si dovrà dotare, in futuro, di impianti di cui al momento non dispone: al momento la sperimentazione è stata avviata importando pre-ridotto da Nordafrica, Sudamerica, penisola arabica. «Il processo – prosegue Mapelli – prevede il mantenimento degli altiforni. Una volta eliminate le cokerie, gli impianti a monte produrranno il pre-ridotto utilizzando il gas naturale e non più il carbone. La nuova materia prima sarà caricata nell'altoforno insieme al minerale. Ovviamente si tratta di un processo di ammodernamento progressivo nel tempo». L'eliminazione graduale delle cokerie e il venir meno dell'esigenza di enormi parchi di materiale fossile esterni, fermo restando la realizzazione delle prescrizioni disposte dall'Aia, produrrebbe l'effetto positivo sia di una ulteriore riduzione dell'impatto ambientale, sia del miglioramento della salute.

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