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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2013 alle ore 09:32.

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Sequestro gruppo Riva, chi deve usare i soldi? Linee opposte tra Gip e Governo

Ma chi deve usare i conti correnti e i beni sequestrati giorni fa al gruppo siderurgico Riva e quindi consentire la ripresa delle aziende? Per la bozza del decreto legge che il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare venerdì, tocca agli "organi societari" con la vigilanza dell'organo giudiziale, vale a dire il custode. Per il gip di Taranto, che il sequestro ha ordinato nell'ambito dell'inchiesta sull'inquinamento dell'Ilva, spetta invece all'amministratore giudiziario, ovvero proprio la figura che la bozza del decreto legge esclude dalla gestione diretta.

Se ancora non si può parlare di nuovo scontro tra poteri dello Stato in merito al futuro dell'acciaio dopo i tanti che ci sono stati nei mesi scorsi (Procura e gip di Taranto impugnarono alla Consulta la legge 231/2012 sulla continuità produttiva dell'Ilva ma si videro respingere i loro ricorsi) in quanto il gip si pronuncia in base alle norme in vigore, è però evidente la diversità di vedute tra autorità giudiziaria e Governo.

Quest'ultimo, con un decreto sul quale non è ancora detta l'ultima parola perchè il premier Enrico Letta ha fatto capire che se ne parlerà domani e poi deciderà in vista del Cdm di venerdì, col dl vuole affrontare due problemi: stabilizzare e mettere meglio in sicurezza l'Ilva dopo il commissariamento - anche questo regolato con legge, la 89/2013 - affidato ad Enrico Bondi; riavviare i sette stabilimenti di Riva Acciaio che nel Nord sono fermi da oltre una settimana dopo il sequestro con 1300 operai in libertà. Se per l'Ilva, la bozza di deceto estende alla gestione commissariale anche le controllate di Ilva finite nel sequestro Riva - in questo consiste la messa in sicurezza -, per il gruppo Riva, invece, si afferma che per i beni sotto sequestro preventivo, liquidità compresa, «l'organo di nomina giudiziale ne consente l'utilizzo e la gestione agli organi societari esercitando i necessari poteri di vigilanza».

In sostanza, i beni sono usati e gestiti dalle aziende e il custode giudiziario nominato dal gip, il commercialista di Taranto Mario Tagarelli, vigila affinchè questo avvenga correttamente. Ma il gip Patrizia Todisco, che ieri sera ha esplicitato con un provvedimento al custode quello che nel pomeriggio aveva detto la Procura di Taranto, scrive invece che se la liquidità sequestrata non può essere travasata nel Fondo unico di giustizia, non può neppure tornare alla proprietà perchè significherebbe dissequestrarla. E ancora, dice il gip, è l'amministratore giudiziario, sempre Tagarelli quindi, che deve gestire i soldi «purchè venga assicurata la prosecuzione dell'attività aziendale e salvaguardate le finalità del sequestro». Inoltre, col sequestro «non è stata posta alcuna preclusione all'uso dei beni da parte del soggetto proprietario». Sostanzialmente il gip conferma quanto il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, aveva detto giorni fa e confermato ieri insieme al pool dei pm, e chiarisce, senza equivoci, che sui conti correnti la competenza è di Tagarelli. Un punto, quello dell'accessibilità dei conti, che il gruppo Riva aveva posto con particolare urgenza nei giorni scorsi al custode in un vertice col ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, e che ora il Governo vorrebbe disciplinare in modo diverso dall'assunto dell'autorità giudiziaria. Dopo l'Ilva, nascerà quindi un nuovo caso?

Ilva, innovazione in quattro tempi. Taranto chiude un altoforno
Il commissario dell'Ilva, Enrico Bondi, attende anch'egli il decreto ma per motivazioni diverse da quelle del gruppo Riva: vuole evitare che il sequestro, come gli effetti di un cerchio concentrico, colpisca anche la stessa Ilva in un momento in cui sta cercando di far girare al massimo l'azienda. Ieri sera Bondi ha incontrato i sindacati metalmeccanici a Roma e fornito altri particolari sull'innovazione di processo (uso del ferro preridotto al posto dei minerali e gas al posto del coke) sulla rampa di lancio a Taranto. L'innovazione si svilupperà in quattro tempi: la sperimentazione tecnologica e la verifica della fattibilità commerciale che sono già in corso; fine 2014-2015 «utilizzo su larga scala» del preridotto sia in altoforno in parziale sostituzione di carica minerale e riduzione di coke, sia in acciaieria in parziale sostituzione di ghisa e riduzione di agglomerato e coke; 2017, possibilità di produrre il preridotto in casa (mentre ora viene importato) o in altra area competitiva; infine, nel lungo periodo innovare ancora il processo «riducendo ancora più massicciamente l'utilizzo di coke». A parità di volumi, il piano di Bondi punta ad ottenere questi risultati: riduzione dei consumi energetici del 10-20 per cento e delle emissioni inquinanti del 35-40 per cento. Infine, una fabbrica più compatta e con l'area a caldo, la piú inquinante, ridimensionata perchè non si avrà più bisogno di diversi impianti, Bondi punta a risparmiare anche 300 milioni di investimenti con la cessazione di quattro batterie coke e di un altoforno.

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