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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2013 alle ore 19:14.

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PALERMO - Undici punti di Pil persi dal 2008 al 2012, 86mila posti di lavoro andati un fumo, di cui circa 80mila tra giovani under 34, mentre la disoccupazione corretta è arrivata a sfiorare il 32,8% ovvero oltre 14 punti in più di quello ufficiale, e il rischio di povertà è quattro volte superiore del Centro-Nord. È la Sicilia vista dalla Svimez il cui direttore generale Riccardo Padovani è intervenuto ieri in un convegno organizzato nell'ambito della Settimana dell'economia del Mezzogiorno.

Un focus dedicato alla Sicilia in cui è emersa tutta la debolezza del sistema economico dell'isola e soprattutto l'indifferenza dominante per una situazione drammatica che rischia di esplodere da un momento all'altro. Lo dice, senza timori, Padovani: «Al di là di questi terribili numeri sull'emergenza siciliana - dice Padovani -, quello che colpisce é il silenzio dei tecnici e dei politici sul tema dello sviluppo, senza il quale non esiste la crescita, oppure l'insistenza sulla supremazia della logica dell'austerità per rilanciare il Paese, mentre occorrerebbe una nuova strategia di politica industriale centrata sul manifatturiero e un approccio di sistema nella gestione dei progetti strategici simile a quella degli anni del dopoguerra per far ripartire tutto il Paese avendo come fulcro il Mezzogiorno».

I dati, se possibile, sono peggiori di quel che è possibile immaginare: il Pil nel 2012 ha avuto una flessione del 4,3% di circa due punti più forte di quella media dell'Italia e nel quinquennio 2008-2011 il calo è stato dell'11%, il più accentuato delle regioni italiane. Con un elemento positivo registrato nell'export (al netto del petrolio) che però non riesce a compensare la netta caduta delal domanda interna. «Pur non disponendosi di un dato disaggregato per la regione - dice Padovani -, è da ritenere che la caduta della domanda interna sia stata in Sicilia, nel 2012, particolarmente intensa e, in considerazione del richiamato assai sfavorevole risultato di Pil, di entità tale da non poter essere compensata da una dinamica della componente estera della domanda risultata, invece, particolarmente favorevole.

Le esportazioni sono, infatti, cresciute in Sicilia nel 2012 più della media sia nazionale che meridionale, sia al lordo che al netto dei prodotti petroliferi». Pagano soprattutto i giovani: «Nel 2012 - dice Padovani - il tasso di occupazione giovanile si è attestato nel Sud al 30,8%, più alto per i maschi (37,9%) e molto più basso per le femmine, (23,6%): oltre venti punti percentuali in meno della media del Centro-Nord, pari al 51,3%. Tale situazione assume particolare gravità in Sicilia, dove per i giovani il tasso di occupazione è sceso in cinque anni dal 32,7% al 28%: su tale dato incidono sia l'ulteriore caduta del tasso di occupazione maschile (35,3%, 21 punti e mezzo in meno rispetto al Centro-Nord), sia, soprattutto, di quello femminile (20,7%, 25 punti in meno di quello del Nord)».

Una debolezza, quella siciliana, che inserisce nella complessiva fragilità del Mezzogiorno del paese. «Il Sud dice Padovani - costituisce la grande opportunità nazionale per avviare un percorso di ripresa dell'economia. Percorso che dovrebbe essere centrato su una politica industriale attiva, che sappia adeguare il sistema produttivo alle sfide della globalizzazione riqualificando il modello di specializzazione e penetrando in settori emergenti e innovativi in grado di creare nuove opportunità di lavoro». ma bisogna cambiare strada perché, ha insistito Padovani «non c'è crescita senza sviluppo» secondo cui «la più grande carenza di tecnici e politici è proprio questo grande silenzio sul tema dello sviluppo, mentre grande è l'attenzione ai pallidi segnali di una auspicata ripresa congiunturale, che temiamo non modificherebbe la grande sterilità di risultati in un governo dell'economia che si limitasse a perseguire la logica dell'austerità».

Per Padovani, «non ci si può illudere che solo perseguendo la logica dell'austerità, alla quale sono state improntate le manovre degli ultimi anni per il riequilibrio dei conti pubblici e la prospettiva di cospicui avanzi primari nei prossimi anni, si possa tornare a crescere».

Secondo Padovani, «se l'Italia è troppo diseguale per crescere, politiche di sviluppo e politiche redistributive e di inclusione sociale dovrebbero andare di pari passo. In questo senso va guardata con estremo interesse la proposta di adozione di uno strumento di lotta alla povertà quale il Reis, reddito di inclusione sociale, presentata dalle Acli e dalla Caritas». Da elaborazioni Svimez emerge infatti delle circa 1.300.000 famiglie italiane beneficiarie della misura, oltre 620.000 sarebbero al Sud, una cifra pari al 48,5% del totale e al 7,7% del totale delle famiglie italiane, a fronte di un costo stimato in circa 2,9 miliardi di euro. «La verità drammatica è che nessuno si sta occupando dello spopolamento del Sud, del fatto che tra 20 anni le campagne saranno deserte e gli antichi borghi saranno abbandonati per sempre il tutto nella incapacità storica della classe dirigente del Paese», ha detto Pietro Busetta, presidente Fondazione Curella.

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