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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2013 alle ore 09:21.
L'ultima modifica è del 18 novembre 2013 alle ore 09:26.

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Oltre tre miliardi di euro nel giro di un anno, più o meno otto milioni al giorno: è la massa degli impegni che imprese e famiglie non riescono a onorare. Una cifra ragguardevole (pari a quella – per dare un'idea – che il Governo cerca per coprire la cancellazione dell'Imu prima casa), ma anche un indicatore importante su situazione economica e trend in atto.

Il quadro
Dall'agosto 2012 al luglio 2013 – in base alle rilevazioni Unioncamere-InfoCamere – non sono stati pagati quasi 1,3 milioni di effetti per un totale di 3,028 miliardi di euro. Un "buco" che – messo in relazione al Pil (1.600 miliardi) – rappresenta circa 200 euro ogni 100mila euro, ma assume una diversa incidenza a livello regionale, riproponendo il consueto divario Nord-Sud. Dieci regioni (del Centro-Nord più la Sardegna) sono infatti sotto la media nazionale, Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige non arrivano a 50 euro (sempre ogni 100mila euro del rispettivo Pil regionale), mentre il Mezzogiorno evidenzia i rapporti peggiori: la Campania è a 464 euro, seguita da Calabria e Abruzzo (con il Lazio) oltre quota 300.

C'è comunque una nota positiva: sia il volume sia il valore dei protesti sono in calo rispetto ai dodici mesi precedenti (in volume del 3% e in valore del 9,6%) con ricadute anche sull'importo medio sceso a 2.333 euro (da 2.500), confermando la dinamica in contrazione segnalata già dalle rilevazioni Istat dopo il picco dei 4,7 miliardi di euro del 2009.
In particolare a calare sono stati gli assegni non pagati (-20% circa) e le tratte (-16%), mentre le cambiali si sono mosse leggermente verso l'alto. «Gli assegni – osservano da Unioncamere – rappresentano uno strumento più facilmente, anche se non esclusivamente, utilizzato nelle transazioni tra imprese. Premesso che i dati si riferiscono a tutti i protesti levati nel periodo (a carico sia di persone fisiche sia giuridiche), il trend in discesa suggerisce il possibile sommarsi di due fenomeni: da un lato, una riduzione delle transazioni economiche, specchio della crisi prolungata che affligge il mercato interno; dall'altro, proprio a causa della crisi, una crescente diffidenza degli operatori nell'accettare mezzi di pagamento potenzialmente rischiosi come gli assegni. La lieve crescita nel segmento delle cambiali, strumento tipico nell'acquisto di beni durevoli, fa invece pensare alla necessità per gli operatori del commercio di sostenere comunque le proprie vendite attraverso il credito al consumo, pur nella consapevolezza dell'accresciuta rischiosità del mercato».

Sul territorio
A livello regionale la variazione dell'importo totale dei debiti non saldati si è espressa in ordine sparso cancellando, da questa angolazione, la "frontiera" Nord-Sud: i maggiori cali li evidenziano infatti Valle d'Aosta (-30%) insieme a Calabria, Molise, Liguria, Basilicata, mentre gli aumenti più vistosi sono di Trentino Alto Adige (+47%), Friuli Venezia Giulia e Marche. Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige spiccano anche per avere i valori totali più contenuti (1,9 e 14,5 miliardi nel periodo).
Meno protesti, dunque, ma soprattutto per via della crisi che stringe i cordoni del credito e che spinge famiglie e imprese a indebitarsi con più cautela per evitare di non poter rispettare le scadenze. E che la situazione, nonostante qualche spiraglio, resti difficile emerge anche dall'ultimo "Osservatorio sui protesti e i pagamenti di Cerved Group", che si focalizza sul settore delle imprese e dal quale emerge un quadro più preoccupante.

Le società
«Nel 2012 – commentano dall'ufficio studi – il totale delle società protestate è arrivato a 47.290, il picco più alto dall'inizio delle rilevazioni nel 2007, quando se ne contavano circa 32.500. E per l'anno in corso si prevede un superamento del dato dello scorso anno». Il secondo trimestre 2013 offre infatti un quadro tra luci e ombre, con segnali che ancora non indicano una chiara svolta di tendenza nelle condizioni economico-finanziarie delle imprese. È vero infatti che tra aprile e giugno sono state protestate "solo" 65mila aziende, in calo dell'1,4% rispetto allo stesso periodo 2012, ma il trend positivo si deve esclusivamente al segmento delle imprese individuali, dove i soggetti protestati sono calati del 5,2 per cento.
Al contrario per le imprese più strutturate continua la fase difficile: nel secondo trimestre sono aumentate del 6,8% (a 22mila) le societa con almeno un protesto. Gli incrementi hanno colpito tutti i settori, ma in particolare l'edilizia, dove i protesti hanno coinvolto l'1,7% del settore, circa il doppio rispetto al manifatturiero o al terziario. Dal punto di vista geografico – puntualizza l'Osservatorio – spicca l'incremento del Nord-Est (+13,5% le società protestate), che però insieme al Nord-Ovest resta al di sotto dei picchi della recessione del 2009, superati invece dalle società del Centro e del Mezzogiorno, aree in cui il fenomeno è storicamente più diffuso. Insomma, se il treno della ripresa comincia a vedere qualche pallida luce in fondo al tunnel della crisi, gli ultimi vagoni arriveranno a vederla un po' più tardi.

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