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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2013 alle ore 18:33.

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Sono alla ricerca di un modello economicamente sostenibile. I Consorzi di garanzia fidi si interrogano sul futuro e cercano di trovare, in prospettiva, nuovi modelli di gestione per superare lo stato di difficoltà in cui si trovano oggi. Non tutti, certo, ma parecchi, soprattutto tra i cosiddetti Confidi 107 (quelli vigilati da Banca d'Italia e in pratica i più grossi) il malessere è crescente. Così a Palermo, nel corso della consulta annuale dei Confidi aderenti a Federconfidi (Confindustria) i vertici dei consorzi, gli esperti e i rappresentanti del mondo dell'impresa hanno sviscerato i problemi cercando di rispondere alla domanda: quali strategie? Tema cruciale in una situazione a rischio. I numeri stanno lì a dimostralo, come ha ricordato il presidente nazionale di Federconfidi Pietro Mulatero con una pagina della sua relazione che non fa presagire nulla di buono: dei 42 Confidi aderenti a Federconfidi 15 sono i cosiddetti 107 e 27 i 106 (il numero complessivo si è ridotto nel 2012 del 10,6% rispetto all'anno precedente), crescono le Pmi socie (al 31 dicembre 2012 erano 83.569 con un incremento del 4,5%) ma qui si fermano le notizie buone perché poi c'è da registrare una lieve flessione del patrimonio con un -0,8% (pari a 440.008.164 milioni), calano del 7,1% rispetto al 2011 i finanziamenti in essere (10,362 miliardi), calano del 9% le garanzie in essere (4,333 miliardi) .

Ci sono grandi attese su quanto potrà arrivare con la legge di stabilità mentre in Sicilia l'assessore all'Economia Luca Bianchi si dice sicuro che dal 2014 il "governo" del sistema dei Confidi cambierà radicalmente grazie all'approvazione della legge (già esitata dalla commissione Bilancio) che destina al sistema 34 milioni. Mentre un ragionamento più ampio nell'isola si sta facendo all'assessorato alle attività produttive guidato da Linda Vancheri che guarda con attenzione a tutto ciò che è stato fatto dalle regioni più virtuose. Non v'è dubbio che un ruolo potranno giocarlo i fondi strutturali più volte richiamati da Alessandro tappi, direttore garanzie del Fondo europeo per gli investimenti.

Intanto la situazione resta critica. Per quanto riguarda le garanzie in essere «la dinamica dei primi sei mesi del 2013, con un dato stimato al 30 giugno pari a circa 4,2 miliardi, evidenzia un calo del 3,5% su base semestrale e un differenziale negativo del 21% rispetto al giugno 2012» dice Mulatero. Mentre per quanto riguarda gli incagli e le sofferenze, dice Mulatero, «lo stock dei primi al 31 dicembre 2012 risulta pari a oltre 400 milioni. Le sofferenze registrate nel 2012 sono pari a oltre 154 milioni e rappresentano l'1,5% dei finanziamenti garantiti in essere. Le stime 2013 sul deteriorato indicano per gli incagli una lieve flessione rispetto a dicembre 2012, mentre per le sofferenze una chiara tendenza ancora in crescita». Cosa è successo dunque? A fronte di una generalizzata contrazione del credito, denunciata dall'amministratore delegato di Interconfidimed (Confindustria Palermo) Italo Candido, c'è stato un aumento del ricorso al sistema dei Confidi da parte delle Pmi (da qui l'aumento dei soci) ma nello stesso tempo sono aumentate le difficoltà del sistema imprenditoriale e probabilmente i nuovi soci hanno scelto i Confidi ritenendo di poter ottenere credito e fiducia dalle banche. Anche se a ben vedere i dati commentati da Paola De Vincentis del dipartimento di Management dell'Università di Torino c'è un fenomeno di cui non si può non tenere conto: gli affidamenti garantiti in essere sono progressivamente cresciuti dal 1971 al 2010 (tranne un calo nel 2008) e con il 2011 è stata inaugurata una discesa mentre il numero delle Pmi socie è cresciuto fino al 2010 e dopo una piccola flessione del 2011 è tornato a crescere nel 2012. In ogni caso «la pagella dei Confidi aderenti a Federconfidi – dice De Vincentis – risulta nel complesso positiva, quando raffrontata alla media del sistema dei Confidi vigilati. Tenendo presente che il contesto è molto impegnativo, occorre comunque tenere alta la guardia. Uno degli aspetti su cui lavorare è la dotazione di mezzi patrimoniali che risulta piuttosto debole rispetto alla media. Sul fronte reddituale invece la situazione è meno grave di quanto potrebbe apparire a prima vista, considerando che è stata digerita una mole di rettifiche superiore rispetto agli altri Confidi vigilati».

Tutto bene dunque? Non proprio, visto che Paola De Vincentis lancia una sfilza di provocazioni che mostrano, in controluce, il lato debole del sistema che, tanto per cominciare «deve far attenzione a valorizzare il proprio ruolo all'interno della catena del credito, mantenendo il contatto con la base associativa e il territorio. La prossimità al prenditore – dice la professoressa – è la vera anima del Confidi e, senza anima, il Confidi rischia di perdere la sua ragion d'essere». Un richiamo al legame con i soci che invita i Confidi a tornare all'antico, perché «trasformarsi in semplici vettori della controgaranzia pubblica è una strategia pericolosa nel medio-lungo termine» e soprattutto «non rinunciare al ruolo di negoziatori di condizioni di favore per i propri associati». Tre, invece, i suggerimenti di natura operativa. Il primo: attrezzarsi per effettuare una adeguata selezione dei rischi garantiti. Il secondo: l'istruttoria di fido non deve trasformarsi in una mera replica di quella bancaria. E infine un appunto sulla garanzia patrimoniale che «in mancanza di adeguati canali di funding è molto impegnativa e pericolosa» dice De Vincentis che aggiunge: «Non è preferibile rimanere su una operatività a valere su fondi monetari vincolati (meglio se con le caratteristiche dei tranched cover)?»

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