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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2013 alle ore 17:24.

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È tutto scritto in tre paginette. Una per ciascun ricorso contro il sequestro. Poche decine di righe, parole sostanzialmente identiche, ma il verdetto della Corte di Cassazione è uno di quelli che pesa perché smonta definitivamente - trattandosi di annullamento senza rinvio - una delle parti più importanti della corposa inchiesta che i giudici di Taranto hanno aperto sull'inquinamento dell'Ilva di Taranto e sulle responsabilità dei Riva. Con quel dispositivo, infatti, venerdí sera la Suprema Corte ha revocato il blocco dei beni del gruppo Riva e delle controllate Ilva, reimmettendoli nel pieno possesso dei proprietari. L'annullamento dei sequestri, tra l'altro, arriva mentre stanno per entrare nella fase piú importante gli interrogatori dei pm degli indagati nell'inchiesta Ilva.
Proprio domani, infatti, sarà la volta del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, e del direttore generale dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa), Giorgio Assennato. Il primo è accusato di concussione verso Assennato, il secondo di favoreggiamento nei confronti di Vendola.
Il governatore, secondo i pm, avrebbe fatto pressioni sull'Arpa - paventando anche la mancata riconferma di Assennato nell'incarico di dg - perché "ammorbidisse" controlli e relazioni sull'Ilva in una fase - giugno 2010-marzo 2011 - in cui si stava discutendo, non senza contrasti, come ridurre le emissioni di diossina e benzoapirene. Assennato invece, osservano i pm, avrebbe "coperto" Vendola negando le pressioni ricevute.
Sia l'uno che l'altro hanno respinto le accuse subito dopo aver ricevuto l'avviso di conclusione delle indagini dalla Procura, tappa preliminare all'udienza del gup dove si decideranno i rinvii a giudizio o meno.

Gli interrogatori di domani segnano una nuova fase del procedimento giudiziario che intanto é chiamato a fare i conti col dissequestro della Cassazione. A maggio, quando il sequestro fu ordinato, fece scalpore.
Sigilli a 8,1 miliardi di beni dei Riva aveva chiesto il gip Patrizia Todisco, il giudice che ha arrestato Nicola ed Emilio Riva, ai domiciliari per un anno, e firmato l'ordinanza per il carcere per Fabio Riva che peró deve essere estradato dall'Inghilterra. Otto miliardi e cento milioni ritenuti dai periti del gip il danno ambientale causato da un'Ilva che negli anni i Riva non avevano ammodernato affinché riducesse le emissioni nocive.
Un sequestro imponente, realizzato in progressione - l'ultimo a settembre su Riva Acciaio -, ma che prima non é riuscito a superare la soglia dei 2 miliardi (la Finanza ha infatti trovato beni in quantitá nettamente inferiore), e ora si é definitivamente infranto con l'annullamento della Cassazione. A partire da domani, quindi, le aziende colpite rientreranno in possesso dei beni ed uscirà di scena il custode e amministratore giudiziario: il commercialista tarantino Mario Tagarelli. Tuttavia, ci vorrá piú di qualche giorno prima che il dissequestro si completi essendo i beni sparsi in tutt'Italia. Tra l'altro proprio domani la Guardia di Finanza fará un punto di situazione con la Procura di Taranto, incaricata dell'esecuzione.
Il dissequestro, osserva il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, non incide sui gravi reati di disastro ambientale contestati agli indagati. Vero. Rischia peró di aprire una falla nella "provvista" finanziaria necessaria alla bonifica dell'Ilva. Infatti, sia la legge sul commissariamento dell'Ilva che il recente decreto legge hanno previsto che il commissario Enrico Bondi possa usare le risorse sequestrate penalmente ai Riva, comprese quelle per reati diversi da quelli ambientali. Oggi, peraltro, le uniche rimaste: 1,9 miliardi scovati in un trust dell'isola di Jersey con l'indagine di Milano sui reati fiscali e valutari dei Riva.
Ma chi puó dirsi certo che questi soldi siano effettivamente utilizzabili?
E chi puó escludere che i Riva, ora "rinfrancati" dalla Cassazione, non lancino loro la controffensiva giudiziaria?

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