Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2014 alle ore 13:05.
L'ultima modifica è del 04 febbraio 2014 alle ore 16:44.

My24

Il dissesto del territorio, è vero. L'edilizia d'arrembaggio, senza dubbio. Le sforbiciate ai fondi per i lavori pubblici, è chiaro. L'incuria, è ovvio. Ma per gli allagamenti, e sempre più spesso per le alluvioni, c'è anche un altro motivo. In buona parte dell'Italia la rete di drenaggio non è più adeguata a smaltire l'acqua a catinelle del nuovo regime climatico. Ponti, argini, canali deviatori e canali scolmatori, briglie, idrovore, rogge, norme di progettazione e tutto l'altro armamentario ingegneristico sono stati concepiti per smaltire le piogge di un secolo fa.

Oggi il clima è diverso, e il sistema che fino a pochi anni fa ha tenuto asciutte le pianure d'Italia è sottodimensionato. Così come fra qualche anno potrebbero essere inadeguate le difese costiere se i mari dovessero alzarsi per lo scaldarsi dell'atmosfera, come affermano alcune ricerce scientifiche.

Già una dozzina d'anni fa un gruppo di climatologi eminenti avevano preconizzato che cosa sarebbe accaduto oggi. Michele Brunetti, Maurizio Maugeri, Teresa Nanni e Antonio Navarra in una ricerca su siccità ed eventi estremi scrissero: «In alcune aree come l'Italia è stata osservata una crescita delle precipitazioni intense associata a un calo delle precipitazioni totali».

Cioè piove complessivamente meno – la terra s'inaridisce, le falde sotterranee smagriscono, i greti dei corsi d'acqua si disseccano e si coprono d'erbacce –, ma quando piove, apriti cielo, cade in poco tempo tutta la pioggia che prima era distribuita in periodi lunghi.

Nel giugno del 1917 suscitò paura il Po che a Pontelagoscuro (Ferrara) scatenava fra gli argini 8.900 metri cubi al secondo di acqua limacciosa. Nel 2000 a Piacenza fra gli argini ruggivano 13mila metri cubi di acqua al secondo.
Per rendere meno sereno lo scenario, la temperatura più mite diminuisce la quantità di neve, la quale restituisce l'acqua al momento del disgelo: «In questi giorni Piave e Tagliamento si sono comportati bene solamente perché le nevicate che hanno lasciato al buio Cortina d'Ampezzo hanno trattenuto l'acqua sulle montagne – avverte Antonio Rusconi, ingegnere idraulico di forte esperienza pubblica (per esempio è stato capo dell'Idrografico di Stato e dell'Autorità di bacino dei fiumi veneti) – ma la piena pericolosa evitata finora potrebbe arrivare se una sciroccata intensa associata alla pioggia dovesse sciogliere le nevi alpine. E le slavine ricorrenti di questi giorni non fanno sperare bene. E gli argini non sono pronti a eventi di tale portata».

Il sistema italiano di regimazione dell'acqua si basa soprattutto sulle grandi opere condotte dopo l'Unità d'Italia e durante il fascismo. Sono casi esemplari gli argini dei fiumi, le grandi bonifiche che asciugarono gran parte della pianura padana la quale fino a due secoli fa era una palude senza fine, ma anche i grandi lavori in Campania, i risanamenti in Sardegna, le opere che hanno restituito alle colture l'agro pontino facendo nascere una provincia (allora Littoria, oggi Latina) dove prima c'era un acquitrino malarico.
Il lavoro di regimazione delle acque in alcuni casi è più antico: la pianura veneta di oggi è frutto di progetti del '500, in Campania i Regi Lagni fra Nola e Caserta furono asciugati a partire dal '600; in Toscana la Val di Chiana fu risanata dalla fine del '700. Grandi lavori pensati per un suolo diverso su cui cade una pioggia diversa.

Per preparare il territorio al cambiamento del clima c'è una Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che nella distrazione generale tratteggia proprio una revisione del sistema di gestione del territorio. Messa a punto un anno fa dall'allora ministro dell'Ambiente Corrado Clini, avviata sei mesi fa dall'attuale ministro Andrea Orlando, nel Paese dell'emergenza perenne la Strategia soffre della disattenzione tipica di tutto ciò che traguarda la pianificazione del futuro. Quella «politica disattenta» di cui ieri si lamentava Massimo Gargano, presidente dell'Anbi, l'associazione dei consorzi di bonifica.

«Qualcosa però si fa», osserva l'ingegner Rusconi. Per esempio alcune autorità di bacino idrografico (organismi bistrattati e con pochi strumenti) «e alcune Regioni hanno varato nuovi standard di progettazione basate sulla cosiddetta invarianza idraulica, cioè non devono aggravare il dissesto idrologico». Roma deve ringraziare l'enorme diga di Corbara, costruita a Orvieto nel dopoguerra, che ha permesso finora di governare le piene del Tevere. E Mantova deve ringraziare la colossale idrovora di Valdaro, che era mossa da una ventina di motori di carri armati Sherman e oggi da più potenti ed efficienti pompe elettriche.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi