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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2014 alle ore 09:11.

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Con un «no» sordo a qualsiasi regola sugli Ogm l'Italia ha rifiutato di accettare le norme europee e di fatto potrebbe aprire, spalancare, le porte alle varietà geneticamente modificate.
Un Ogm autorizzato dall'Europa diventa immediatamente di coltura libera. Le norme italiane che si sono susseguite finora sono state regolarmente bocciate in sede europea.
C'è chi chiede di fermare gli Ogm invocando la clausola di salvaguardia.

La direttiva 2001/18/CE (e il decreto legislativo 224/2003 che la recepisce) dispone che la clausola di salvaguardia può essere invocata solo se ci sono nuove informazioni su gravi rischi per la salute umana, animale e per l'ambiente. Dal '98, con la prima autorizzazione europea a un Ogm, non risulta alcun nuovo studio che confermi questi rischi. C'è anche il cosiddetto "principio di precauzione", però può essere adottato all'inizio del processo legislativo, non a leggi in vigore da molti anni.
Un altro strumento è la procedura d'emergenza. Qualora ci fossero evidenze di gravi danni (contaminazioni velenose, malattie, epidemie, morìe) va subito segnalato alla Ue, che può decretare in pochi giorni il blocco.

L'ultima via è rappresentata dalle misure nazionali (o regionali, per l'Italia) di coesistenza per evitare la commistione tra colture Ogm e colture tradizionali o biologiche. In Italia dal 2007 ci sono le "Linee Guida per le normative regionali di coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e geneticamente modificate", messe a punto dai tecnici dei ministeri e delle Regioni. Su queste linee guida ogni Regione poi avrebbe dovuto adottare la propria legge, adeguandola alle sue caratteristiche locali.
Poiché la "coesistenza" per gli anti-Ogm significa una forma di riconoscimento di questi prodotti, la Conferenza dei presidenti delle Regioni nel 2008 ritenne di non adottarle. Solo il Friuli-Venezia Giulia, costretto nei mesi scorsi dalle prime colture Ogm, ha avviato il percorso. (J.G.)

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