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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2014 alle ore 06:42.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 14:00.

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TORINO - Piccole, innovative, ma alle prese con rischi provocati dal mancato sostegno alla ricerca. Sono le caratteristiche della maggior parte delle aziende italiane che operano nel settore delle biotecnologie. Il rapporto annuale sul settore, realizzato da Assobiotec ed Ey, in collaborazione con Farmindustria e Ita, è stato presentato ieri a Torino, in occasione di BioEurope Spring, un appuntamento che vede la partecipazione di 1.200 aziende di tutto il mondo, comprese 104 aziende italiane.

Nel nostro Paese il settore, composto da 422 imprese impegnate in Ricerca e sviluppo, vale oltre 7 miliardi di euro di fatturato 2013, in linea con quello dell'anno precedente. Gli addetti occupati nell'attività di R&S sono 6.626, in flessione dell'1% rispetto al 2012. Sono aumentati dell'1% gli investimenti (ma sono calati dell'1,1% per le imprese "pure biotech", ossia impegnate in attività legate esclusivamente alle biotecnologie), pari a 1,5 miliardi di euro. Nel complesso l'industria biotecnologica italiana si colloca al terzo posto in Europa, dopo Germania e Gran Bretagna, per numero di aziende "pure biotech" (264). E se, in Italia, le piccole imprese rappresentano il 77% del settore, per le pure biotech la percentuale di microaziende (con meno di 10 addetti) e di piccole imprese (meno di 50 addetti) sale all'88%. Da un lato questo testimonia la vitalità di un settore caratterizzato da continua capacità innovativa e da start up che vivono di ricerca. D'altro canto crea problemi nella raccolta di investimenti di venture capital, con le imprese italiane che – ha sottolineato Antonio Irione, life sciences leader di Ey – hanno raccolto solo l'1,6% degli investimenti complessivi in Europa a fronte del 27,7% delle imprese della Gran Bretagna, dell'11,7% delle aziende francesi e del 10,5% di quelle tedesche. Anche Paesi più piccoli hanno conquistato maggiori investimenti. Dall'Olanda (9,2% del totale europeo) alla Danimarca (8,4%), sino al 4,1% dell'Austria o al 3,8% del Belgio. Le conseguenze, negative, sono inevitabili.

«Dopo diversi anni di crescita a ritmo sostenuto – ha spiegato Alessandro Sidoli, presidente di Assobiotec – nel 2013 il settore ha mostrato chiari segni di difficoltà, dovute alla cronica assenza di provvediment per sostenere la ricerca e lo sviluppo e per tutelare i prodotti innovativi. Manca ancora un credito d'imposta adeguato sulle spese in R&S e troppi sono i crediti per finanziamenti di ricerca che le nostre aziende hanno nei confronti della Pubblica amministrazione». Per Sidoli serve un piano strategico nazionale per la bioeconomia. Anche perché il 94% del fatturato totale è legato al segmento della salute mentre enormi spazi di crescita ci potrebbero essere per le biotecnologie in campo agricolo, alimentare, dei processi industriali nell'area della chimica "verde".

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