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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2014 alle ore 16:00.
L'ultima modifica è del 19 marzo 2014 alle ore 17:43.

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Anche nel 2013 la massa debitoria di imprese e famiglie è qualitativamente peggiorata. Tanto che Unirec - l'associazione che raccoglie in Confindustria Servizi le aziende impegnate nel recupero crediti - stima un rialzo nel numero delle pratiche (da 35 milioni del 2012 a oltre 36 milioni) e del valore (da 43 a 44 miliardi). Nel contempo Unirec stima un calo del 20-21% dei risultati di recupero. In questo contesto, un terzo delle imprese associate chiuderà in perdita l'esercizio scorso.

«È il termometro fedele del quadro finanziario del Paese», spiega Gianni Amprino, presidente di Unirec, 200 aziende e oltre 18mila addetti «altamente qualificati e professionalizzati», aggiunge il presidente. Recuperare crediti non è facile, vista la congiuntura, e non è certamente agevole telefonare o suonare il campanello di casa di un debitore, «che sia una famiglia in arretrato con le bollette di telefono o energia, oppure un'impresa che non paga da tre, quattro mesi perchè non ha liquidità».
Sarà anche per queste difficoltà che in alcuni casi gli stessi riscossori vengono denunciati perchè accusati di essere vessatori. Il sito dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha una lunga sequenza di pronunciamenti contro aziende del recupero crediti, perchè hanno fatto una telefonata in più al debitore o l'hanno fatta sul posto di lavoro o in orari non consentiti.
«Dobbiamo sfatare la voce - spiega Amprino - secondo cui i nostri operatori sono come lo sceriffo di Nottingham. Certo, qualche caso c'è stato, ma purtroppo tocchiamo ogni giorno con mano che in Italia, chi non paga, è un furbo. E questi furbi utilizzano tutti i mezzi per sfuggire alle loro responsabilità, compresi ricorsi e denunce».
Oltre ai furbi, le aziende del recupero crediti - vigilate dal ministero degli Interni - fanno i conti con una concorrenza che non teme certo l'Agcom: la malavita. Sicilia, Lazio, Campania e Lombardia sono le regioni con i più alti tassi di protesti e di pratiche aperte. E sono anche le regioni in cui camorra e soprattutto 'ndrangheta intervengono "per nome e per conto" e con il sistema della minaccia fisica incassano. Nelle relazioni delle Direzioni distrettuali antimafia, la voce usura ormai è affiancata da tempo da quella "recupero crediti".

«Per chi lavora nella legalità - dice ancora il presidente di Unirec - non è facile. Noi lavoriamo per grandi gruppi dell'energia e delle telefonia, per il sistema bancario, siamo soggetti alla normativa antiriciclaggio e siamo obbligati a segnalare operazioni sospette. Siamo una interfaccia professionale tra chi è in difficoltà nei pagamenti e il comittente. Il 76% delle posizioni è gestito con strutture di call phone, il restante 24% da agenti sul territorio. Ai debitori proponiamo piani di pagamento flessibili e concordati in modo tale che l'attività non venga compromessa».
In sette anni la massa creditizia è letteralmente esplosa: erano 15,2 miliardi nel 2007, siamo a 44 miliardi nel 2013. Segno tangibile della recessione. Mutui, prestiti personali, carte di credito e leasing rappresentano il 59% di questo valore. Fatture relative a forniture di energia e telecomunicazioni sono il 34% mentre il 7% fa riferimento a debiti aziendali. Lo scorso anno le aziende che hanno subito almeno un protesto sono state più di 50mila. A fine 2012 erano 370mila le imprese con un ritardo di oltre due mesi nei pagamenti alla scadenza concordata. Numero cresciuto anche nel 2013. «L'arrivo della legge sui tempi di pagamento - aggiunge Amprino - e lo sblocco dei crediti della pubblica amministrazione non hanno, per il momento, avuto gradi effetti sulle imprese».

A questa enorme massa di crediti si è arrivati per motivi differenti: «Per quanto riguarda le famiglie - dice Amprino - certamente l'uso eccessivo del pagamento a rate ha generato una bolla divetanta poi insostenibile. Sulle imprese, è evidente il peso del credit crunch, ma anche quello dei mancati o ritardati pagamenti e quello del crollo delle vendite sul mercato. Tendenzialmente si tratta di piccole e medie imprese che con un piano concordato di rientro si rimettono in pari. Ma troviamo anche molti casi di imprese chiuse o sottoposte a procedura concorsuale». Un altro segnale di allarme arriva dalla cessione del quinto dello stipendio. «Abbiamo clienti che ci chiamano perchè da due o tre mesi non ricevono più il quinto della retribuzione dalle aziende i cui dipendenti sono sottoposti a questa procedura. Alla verifica risulta che quella stessa azienda non paga più lo stipendio da un periodo analogo. È un fenomeno preoccupante che abbiamo registrato lo scorso anno».

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