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Questo articolo è stato pubblicato il 28 marzo 2014 alle ore 15:39.
L'ultima modifica è del 29 marzo 2014 alle ore 09:50.

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Investire in capitale umano per arginare la crisi. Una ricetta oggi più attuale che mai, come sottolinea il Centro studi di Confindustria. Gli economisti di viale dell'Astronomia nella ricerca «People first. Il capitale sociale e umano: la forza del Paese» effettuata in occasione del convegno biennale del Centro studi a Bari, hanno stimato «l'aumento in dieci anni del grado di istruzione italiano al livello dei Paesi più avanzati innalza il Pil fino al 15% in termini reali, cioé 234 miliardi, con un guadagno di 3.900 euro per abitante». Puntare sul capitale umano é «la più importante politica industriale» anche perché «nell'economia della conoscenza fallire in questo investimento significa andare indietro, non rimanere fermi».

«In Italia tanti e per molto tempo hanno pensato di vivere nel Paese dei balocchi» spiega il direttore del Centro studi di Confindustria Luca Paolazzi. «La crisi - sottolinea - è stata un brusco risveglio ma ancora non sappiamo come uscirne». «Ripartire dal capitale umano è la risposta»ha sottolineato Paolazzi davanti ad una platea di imprenditori e politici.

Dunque, il capitale sociale è la forza del Paese. Nello studio presentato a Bari i numeri sottolineano che «studiare conviene». La laurea infatti aumenta la probabilità di trovare lavoro, oltre che il reddito (e la carriera). Il tasso di occupabilità dei laureati in Italia è infatti il 40% superiore a quello dei diplomati. L'Italia è caratterizzata da un nodo nella transizione tra scuola e lavoro. Lo dimostra il fatto che nel 2012 tra i 20-34enni laureati o diplomati, in Italia solo il 52,3% lavora entro tre anni dalla conclusione del proprio percorso di formazione, contro il 74,9% della media europea e l'88,4% in Germania.

Il corto circuito di bassa istruzione e alta diseguaglianza
Il check up del capitale sociale in Italia evidenzia anche quanto oggi la scala sociale sia ferma. «La mobilità sociale resta un punto debole per l'Italia» ha spiegato Paolazzi. Nei numeri si legge infatti che chi ha già genitori laureati ha molte più probabilità di laurearsi. Se si guarda ai titoli di studio degli adulti che hanno tra i 25 e i 59 anni nel 2011, in base al più alto titolo di studio dei loro genitori, tra chi ha almeno un genitore laureato, il 64% ha la laurea, mentre per i figli dei diplomati questa percentuale scende al 32%. In Europa vi è una chiara correlazione positiva, si legge nella ricerca, tra i titoli di studio dei genitori e quelli dei figli. La ripartizione dei figli dei laureati è in Italia simile alla media europea e anche tra i figli dei diplomati italiani si osservano percentuali molto vicine a quelle dell'Ue. La principale differenza tra Italia ed Europa si riscontra tra chi proviene da famiglie con bassa istruzione: in Europa il 18% dei figli di persone con al più la licenza media raggiunge la laurea, mentre nel nostro paese questa percentuale si ferma al 9%, la metà. Se si considerano i giovani italiani tra i 25 e i 34 anni che provengono da famiglie poco istruite la probabilità di arrivare alla laurea è pari al 12%, inferiore al 24% medio dei giovani dell'Europa a 28.

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