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Questo articolo è stato pubblicato il 28 marzo 2014 alle ore 15:39.
L'ultima modifica è del 29 marzo 2014 alle ore 09:50.

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La scuola media anello debole
La scuola secondaria di primo grado, infatti, «una volta raggiunta la scolarizzazione di massa, sembra aver smarrito la propria vocazione originaria: quella di garantire un bagaglio adeguato di conoscenze e di orientare le scelte scolastiche successive». «Oggi per contro - ha sottolineato Paolazzi - la scuola media è il luogo dove si creano le prime disuguaglianze fra studenti sulla base della loro origine economico-sociale e culturale, disuguaglianze destinate a esplodere nella secondaria di secondo grado. E' quindi urgente che essa ritrovi la missione di garantire a tutti una formazione di base di qualità».

Il primato negativo nella Ue per i Neet
Quanto ai cosiddetti «neet», i giovani che non lavorano e non studiano, in Italia sono 2.250.000, pari al 24% degli italiani tra i 15 e i 29 anni, e il costo annuale del fenomeno «é particolarmente significativo: se i giovani che non lavorano e non studiano entrassero a far parte del sistema produttivo , si potrebbero guadagnare più di 2 punti di Pil, che corrispondono a circa 32,6 miliardi» stima il Csc . In Europa i Neet sono 14.500.000 e il costo dell'esclusione tocca i 153 miliardi l'anno. In Italia i Neet tra i 15-24 anni sono circa 1,2 milioni, pari al 21,1% della classe di riferimento, contro il 13,1% dell'Europa a 27, il 18,8% della Spagna, il 12,2% della Francia e il 7,1% della Germania.

In Italia, inoltre, l'alto numero di abbandoni scolastici (nel 2012 il 17,6% dei 18-24enni italiani non aveva un diploma e non frequentava una scuola o un corso di formazione, contro una media europea del 12,8%) «fa sì che circa la metà dei Neet appartenga al sottogruppo che l'Ocse definisce 'left behind', ovvero quelli che, in mancanza di sufficiente preparazione e competenze, sono 'lasciati indietro' e rimangono disoccupati per lunghi periodi».

Insomma l'Italia non brilla né per la quantità né per la qualità dell'istruzione.La crisi insomma ha aggravato il quadro già difficile perché ha ridotto l'occupazione, cruciale per l'acquisizione delle competenze, ha demotivato le persone, ha diminuito l'investimento delle famiglie in istruzione. Una spirale che è tra le cause della bassa crescita.

Le sette lezioni da ricordare
Dall'analisi del Centro studi di Confindustria, emergono «sette lezioni». La prima è un avvertimento: «la materia prima del capitale umano, cioè la popolazione, tende a diminuire, invecchia ed è mal utilizzata». Tra l'altro «l'immigrazione la tiene su». Seconda lezione: «La scuola italiana non è immobile e immutabile», tra «forti progressi e gravi lacune»: nel sistema italiano le scuole medie sono «l'anello debole», mentre alle superiori gli istituti professionali rappresentano il «tracollo». La terza: «l'Università resiste alle forme e ai cambiamenti», la quarta: «Studiare conviene anche in Italia». La quinta lezione è: «per aumentare il capitale umano migrazione e lavoro sono altrettanto cruciali». L'Italia attrae poche persone altamente qualificate,«si fa poca formazione» e così l'Italia rimane indietro denuncia Confindustria. Sesta lezione: «I valori contano quanto i saperi»: oltre alle conoscenze servono valori come fiducia e cooperazione. E la settima ed ultima lezione: fondamentale «la collaborazione tra mondo dell'istruzione e imprese».

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