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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2014 alle ore 13:59.

Giovani, donne e innovazione, sono le leve della nuova agricoltura che, nonostante la crisi, continua a mantenere le sue doti anticicliche e la capacità di essere un asset strategico per la crescita. Negli ultimi tre anni infatti sono spuntate 117mila nuove aziende (106mila agricole e 11mila nell'agroalimentare), il 15% condotte da giovani e con una componente femminile del 9%: le donne infatti rappresentano oltre il 30% del totale degli imprenditori del settore. I dati emergono da una indagine del Censis e della Cia (Confederazione italiana degli agricoltori) presentata oggi a Roma.

I numeri tracciano l'identikit di un settore – come ha spiegato il direttore generale del Censis, Giuseppe Roma – in lenta e profonda ristrutturazione all'insegna del consolidamento strutturale. Il ringiovanimento del tessuto – spiega lo studio Censis– comporta anche una ridefinizione dei profili guida dell'impresa. I giovani imprenditori hanno infatti un livello medio di istruzione più alto dei loro padri che solo nel 31% dei casi hanno la licenza media. Il 45% dei giovani in età compresa tra 25 e 40 anni ha invece un diploma di scuola superiore e più dell'11% la laurea. E chi al di sotto dei 25 anni è deciso ad avviare un'attività in ambito agroalimentare nel 65% dei casi è già diplomato e il 5% ha una laurea in tasca.

Boom di iscrizioni alle facoltà legate al settore
Il successo dell'agricoltura si «legge» dunque anche dall'analisi dei percorsi formativi. Tra il 2009 e il 2013 infatti, a fronte di un calo di circa il 14% delle immatricolazioni, c'è stato invece un vero e proprio boom delle iscrizioni alle facoltà collegate al mondo agroalimentare:+43,1% per scienze zootecniche e tecnologie delle produzioni animali,+22,9% per scienze e tecnologie alimentari. +18,6% per scienze e tecnologie agrarie e forestali. Insomma se resta comunque negativo il saldo della natimortalità delle imprese si segnala un numero crescente di start up innovative: «a morire – secondo Roma – sono le aziende più deboli mentre le nuove sono le più robuste». Un dato che dovrebbe incidere anche sul rafforzamento dell'export, oggi frenato dalla dimensione logistica e dall'assenza di una grande distribuzione italiana. ma anche dalla presenza di imprese polverizzate.

L'export resta un volano, ma l'Italia per volumi è sesta nella Ue
Le vendite sui mercati esteri continuano a volare – ha confermato l'indagine – con un incremento nel 2013 del 4,8% (i prodotti agroalimentari hanno pesato per circa 33,5 miliardi sulla bilancia commerciale), ma in Europa l'Italia è al sesto posto per i volume dell'export preceduta non solo dai tradizionali competitor come Germania, Francia e Spagna, ma addirittura dal Belgio con quota del 31% doppia al 15% del made in Italy. Numeri che rivelano un evidente sottodimensionamento sul fronte dell'export e quindi un potenziale ancora tutto da esprimere. Così come un elemento critico è indicato nella presenza ancora di secondo piano nella filiera. «C'è una difficoltà tutta specifica dell'azienda agricola – si legge nell'indagine Censis – a integrare a 360 gradi le funzioni imprenditoriali, dalla produzione alla vendita».

Scanavino (Cia): puntare sulle aggregazioni per raggiungere il consumatore
Nonostante le criticità il presidente della Cia, Dino Scanavino, considera la fotografia scattata dal Censis l'ennesima prova del valore economico dell'agricoltura che ha nella tutela ambientale «un prerequisito, ma che rappresenta una componente importante del sistema economico che può offrire un significativo contributo allo sviluppo». Scanavino ha sottolineato che crescono i dipendenti, le capacità manageriali e soprattutto la qualità del'impresa. Resta la difficoltà della marginalità del reddito «una condizione tutta da indagare» e la necessità è di puntare su tutte le forme di aggregazione con un solo obiettivo: «raggiungere il consumatore e non importa se a chilometro zero o a chilometro mille – ha affermato il presidente della Cia – ma con un approccio economico»

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