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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2014 alle ore 16:15.

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Sessanta milioni di euro. Tanto hanno ottenuto complessivamente dalla Curia i sette parenti del defunto Michelangelo Manini per chiudere la querelle sull'eredità e ridare un futuro alla Faac, la multinazionale dei cancelli di Zola Predosa messa sotto sequestro dal tribunale di Bologna di fronte all'impugnazione dei tre testamenti olografi da parte di cinque zii e due cugini dell'imprenditore scomparso due anni fa lasciando tutto alla chiesa.
In ballo c'è un compendio ereditario valutato 1, 7 miliardi di euro, tra cui il 66% del capitale della multinazionale - il restante 33% è della francese Somfy - da 1.400 dipendenti e 285 milioni di fatturato.

In azienda, però, ancora non si festeggia: «Aspettiamo che il giudice ordini il dissequestro delle azioni», spiega con cautela l'ad Andrea Marcellan, dopo la maratona notturna di ieri che ha portato alla transazione milionaria con i parenti e che spera di poter brindare il prossimo 27 giugno, data dell'assemblea dei soci.

La "dynasty" bolognese non è infatti all'epilogo. Il dentista di Manini, Lucio Corneti, unico escluso dall'accordo di ieri con l'Arcidiocesi, continua a sventolare un quarto testamento dell'ex patron di Faac a suo favore, successivo a quelli che nominavano la Curia unico beneficiario, e ha presentato ieri una nuova istanza di sequestro al tribunale. La decisione del giudice è attesa per lunedì prossimo e se il sequestro delle azioni Faac fosse confermato anche i parenti legittimi avranno poco di cui gioire: la transazione firmata con la chiesa prevede infatti che l'Arcidiocesi cominci a pagare i 60 milioni a rate, solo rientrata in pieno possesso dell'eredità.

Di mezzo c'è anche il processo per falso avviato a Modena contro Corneti e il testamento in suo possesso (scritto su un modello di consenso informato per cure odontoiatriche) che gli è valsa una denuncia da parte di eredi legittimi e prelati. Difficilmente la sentenza di primo grado arriverà prima della fine dell'anno.

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