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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2014 alle ore 18:08.
L'ultima modifica è del 27 giugno 2014 alle ore 18:09.

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«Un sorta di scherzo». Non è andata per il sottile il giudice istruttore Fiammetta Squarzoni, del Tribunale di Bologna, rigettando il ricorso con il quale Lucio Corneti ha richiesto un nuovo sequestro giudiziario dell'eredità di Michelangelo Manini, un patrimonio di oltre un miliardo del quale il pezzo più pregiato è costituito dalla multinazionale dei cancelli Faac, quartiere generale a Zola Predosa, in provincia di Bologna.

Si è chiusa così, e definitivamente, la lunga stagione del sequestro giudiziario del colosso dei cancelli automatici, a causa della durissima contesa giudiziaria che per due anni ha contrapposto la Curia di Bologna ai parenti del defunto patron della Faac.
Dopo l'accordo con il quale la Diocesi ha riconosciuto ai parenti – ai quali ora andranno 60 milioni di euro - il diritto di legittima, restava in piedi solo l'incognita relativa al testamento con il quale Lucio Corneti, dentista di Michelangelo Manini, vantava i diritti di erede universale di una eredità da 1,7 miliardi. Oggi l'attesa assemblea dei soci della Faac ha ratificato la fine della guerra e ha riconfermato i vertici, a partire dall'amministratore delegato Andrea Marcellan. La proprietà del 66% del pacchetto azionario della multinazionale resta quindi nelle mani della Diocesi, affiancata dalla francese Somfy, sistemi di automazione per la casa, che detiene la quota restante.

Il management dell'azienda potrà ora procedere con un piano di investimenti, rimasto fino ad ora congelato, per consolidare la presenza all'estero e conquistare nuove quote di mercato. Con ricavi per 285 milioni (bilancio 2013), 1.800 dipendenti e 16 stabilimenti tra Italia e resto del mondo, per Faac è cominciata la nuova fase di sviluppo. «Siamo stati praticamente fuori dal mercato per 24 mesi e abbiamo due anni da recuperare», spiega Marcellan. Corneti, già rinviato a giudizio dal Tribunale di Modena per falso materiale, è uscito di scena con l'ordinanza attravreso la quale Squarzoni ha smontato la presunta autenticità del testamento, rilevando tra l'altro che «essendo stato scritto su un modulo di consenso informato per terapie mediche è facilmente intendibile come una sorta di scherzo, a prescindere dalla effettiva olografia attribuibile o meno al defunto».

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