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Norme e Tributi Lavoro

Liquidazioni nel pubblico impiego giù anche del 40%

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2010 alle ore 10:00.

Non ci sono solo le rate per gli importi sopra i 90mila euro a complicare i conti delle buonuscite dei dipendenti pubblici.
La manovra correttiva entrata in vigore la settimana scorsa cambia anche le regole con cui gli stipendi attuali si trasformeranno nella liquidazione per chi è stato assunto prima del 2001, e quindi contava su un assegno di addio calcolato secondo i vecchi, generosi, parametri del pubblico impiego.

Dal 1° gennaio dall'anno prossimo, se le previsioni contenute nel decreto con la manovra supereranno indenni l'esame del parlamento, a tutte le buonuscite dei dipendenti pubblici si applicherà il meccanismo di calcolo che regola il trattamento di fine rapporto nelle aziende private. Una volta a regime, per chi fa più carriera la differenza fra vecchio e nuovo modello potrebbe costare anche oltre 200mila euro.
La novità ovviamente non è retroattiva, e opera pro rata sulle tranche di liquidazione post 2011, ma una volta a regime l'equiparazione con i privati potrebbe essere solo teorica, e nascondere qualche insidia in più per chi lavora nella pubblica amministrazione. Andiamo con ordine per capire il perché.
Il colpo esclude gli assunti post-2001, dunque ancora lontanissimi dall'uscita, e riguarda invece gli altri, che finora progettavano di condurre la loro carriera fino al porto di una buonuscita calcolata in rapporto all'ultima retribuzione annua. L'unità di misura per l'assegno di questi dipendenti è l'80% delle voci fisse lorde dell'ultimo anno, divise per 12: basta moltiplicare il risultato per gli anni di anzianità, e si ottiene l'importo lordo con cui la pubblica amministrazione saluta i propri lavoratori. In regioni ed enti locali il sistema è da sempre un po' meno generoso, perché l'80% del lordo fisso annuale va diviso per 15 e non per 12, ma l'impostazione è la stessa.


Nei grafici si stimano - in base alle retribuzioni medie 2008 censite dalla ragioneria generale - gli importi lordi complessivi che un sistema di questo tipo è in grado di determinare: per un dirigente di I fascia in un ente pubblico non economico (si tratta di Istat, Inail, Aci, Inpdap e via siglando) con un reddito di 202mila euro, la liquidazione può arrivare, con le vecchie regole, vicino a quota 540mila euro, i 150mila euro di un primario si possono trasformare in 400mila euro di buonuscita, e gli importi scendono insieme ai livelli retributivi. Le somme reali dipendono ovviamente dal mix di voci fisse e variabili che compongono la busta paga, un fattore importante soprattutto nel caso dei dirigenti; il grafico propone ovviamente le differenze fra gli assegni calcolati con il vecchio metodo e quelli interamente disciplinati dal nuovo. Il taglio effettivo potrà essere mitigato dagli anni già maturati prima della riforma, ma la loro influenza sarà limitata, La sostanza, infatti, è data dall'abbandono della caratteristica chiave del vecchio sistema, cioè l'ancoraggio della liquidazione alla retribuzione finale. Questo elemento spiega la pratica diffusa negli uffici pubblici di assegnare uno «scalone» retributivo ai dipendenti vicini all'uscita, moltiplicando in extremis l'assegno finale.

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La riforma Brunetta, e soprattutto il congelamento triennale degli stipendi introdotto dalla manovra, avrebbero impedito l'escamotage almeno per il futuro prossimo; il governo però ha scelto la soluzione più radicale, che estende al mondo pubblico le regole del Tfr privato. Dal 2011, insomma, tutte le liquidazioni viaggeranno sulla stessa barca. Dietro a questa uguaglianza, però, si può nascondere qualche disparità, proprio per l'esclusione accennata prima delle voci variabili dal calcolo del trattamento finale. Il Tfr dei lavoratori privati abbraccia come base di calcolo quasi tutta la busta paga, mentre negli uffici pubblici le voci variabili ininfluenti sulla buonuscita, sono destinate ad assumere sempre più peso anche per le previsioni della riforma del pubblico impiego. Nel prossimo triennio questa evoluzione è resa difficile dal congelamento di salari e contratti, ma in campo previdenziale si ragiona per tempi lunghi e con i meccanismi a regime il problema può emergere.

Il cambio di regole che scatterà l'anno prossimo spinge ad anticipare l'uscita i dipendenti pubblici che hanno i requisiti per farlo; nella stessa direzione gioca la rateizzazione delle buonuscite «alte», che per le cessazioni successive al 30 novembre dilazionerà in due rate annuali gli assegni sopra i 90mila euro e spezzetterà in tre tranche quelli sopra i 150mila.

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