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La merce sequestrata cambia casa

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2010 alle ore 08:07.

Ai cinesi non sembrava vero. Dopo il blitz della Guardia di finanza, le contestazioni e i sigilli, la merce restava lì a portata di mano, "sequestrata" in magazzino. Recuperarla era un gioco da ragazzi. Bastava scassinare il capannone, magari evitando di usare la chiave, simulare un furto e dopo qualche giorno correre dai carabinieri a denunciarlo. Con aria contrita, potendo. Così giocattoli, cosmetici, stick incense, collane con immagini sacre, paillettes, portachiavi, peluche, tatuaggi adesivi e unghie finte, tutti fabbricati lungo la via della seta e sdoganati nella Penisola illegalmente, riconfluivano sulle bancarelle dei mercati rionali o sugli scaffali telematici di internet.
D'altronde, inutile nasconderselo, i mezzi a disposizione delle forze di polizia nella guerra quotidiana contro falsari e importatori senza scrupoli sono quelle che sono. Non sempre ci sono i camion per trasportare altrove i quintali di prodotti truccati scoperti o i capannoni per custodirli nei lunghi mesi dei processi.
Oltre ai danni per imprese, cittadini e fisco, quindi, spesso si aggiungeva la beffa. Qualche mese fa, però, in una provincia sempre più colonizzata da strutture di smistamento delle produzioni cinesi, istituzioni e associazioni di categoria padovane hanno deciso di "fare squadra". Espressione abusata, ma che qui ha fruttato più di una rivincita. Guardia di finanza, prefettura, associazioni di categoria, enti locali, Asl, Arpav, Università e Ordine dei commercialisti hanno infatti sottoscritto un protocollo d'intesa a tutela dei consumatori e del made in Italy. Sotto la regia del nucleo provinciale delle Fiamme gialle guidato dal colonnello Ivano Maccani, nei soli primi sei mesi dell'anno sono state denunciate all'autorità giudiziaria 107 persone e tolti dal mercato dei falsi, fra l'altro, 21.430 giocattoli, 42.710 capi d'abbigliamento e 2.144 apparecchi elettronici. Sono state sgominate due bande e oscurati tre siti sui quali venivano piazzati articoli con i marchi di griffes internazionali. In una sola ispezione, lo scorso maggio, al "centro ingrosso cina", cittadella commerciale di corso Stati Uniti (potenza della toponomastica), sono stati bloccati 202.057.440 prodotti di bigiotteria privi degli standard minimi di sicurezza, della certificazione di importazione e della marchiatura CE. Prodotti che stavolta, grazie ai finanziamenti della Camera di commercio, sono stati prelevati, depositati in una caserma dismessa dell'aeronautica e analizzati tempestivamente nei laboratori di Asl e Università.

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Tags Correlati: Arpav | Asl | Autorità giudiziaria | Aviazione Militare | Camera di Commercio | Guardia di Finanza | Ivano Maccani | Normativa | Ordini provinciali dei commercialisti

 

Nella sostanza collante delle "nail art" (le estensioni con cui bambine e adolescenti s'impreziosiscono le unghie) c'era un'elevatissima concentrazione di toluene, un solvente chimico di cui è possibile l'assorbimento per via cutanea. Mentre nei "tatoo stickers" è stato rilevato un quantitativo di piombo pari al doppio dei limiti legali.
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