Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2010 alle ore 08:06.

My24

di Valerio Onida La Corte costituzionale – nella sentenza 250 dell'8 luglio (si veda «Il Sole 24 Ore» del 10 luglio), coeva a quella che ha annullato l'aggravante introdotta nel Codice penale per gli stranieri irregolari («Il Sole 24 Ore» dell'11 luglio) – ha dichiarato non fondati (o inammissibili) i dubbi di costituzionalità sollevati sulla norma del 2009 che ha introdotto il reato di ingresso o soggiorno irregolare, punendolo con un'ammenda.


Le questioni riguardavano da un lato la legittimità in sé della nuova incriminazione, dall'altro alcuni aspetti della relativa disciplina. Sul primo ordine di quesiti, la Corte ha preso le mosse dal principio, tante volte affermato, per cui l'individuazione dei reati e delle pene spetta alla discrezionalità del legislatore, salva la sindacabilità di «scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie». Lo scrutinio di legittimità non è "stretto", dunque (a beneficio di chi talvolta accusa i giudici costituzionali di sostituirsi al legislatore). La Corte osserva che la nuova norma colpisce una condotta, e non una condizione personale o una presunta pericolosità sociale dell'immigrato; afferma che essa tutela l'interesse dello Stato al controllo dei flussi migratori, attraverso una regolamentazione «collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione», vincoli e politica «frutto di valutazioni afferenti alla "sostenibilità" socio-economica del fenomeno»; e che il legislatore gode di ampia discrezionalità nel porre limiti all'accesso degli stranieri nel territorio (peccato solo che fra gli interessi in gioco non vengano menzionati, salvo l'accenno ai vincoli internazionali, le ragioni di fondo – la ricerca di possibilità di vita e di lavoro – che determinano i flussi migratori di massa).

I giudici rimettenti denunciavano poi l'incongruenza di una norma che punisce allo stesso modo violazioni assai diverse per gravità, e non sembra aggiungere sostanzialmente nulla al potere di espulsione già spettante alle autorità amministrative. La Corte ammette che la disciplina penale si sovrappone a quella amministrativa, e che anzi l'applicazione della sanzione penale è sostanzialmente considerata dalla legge una "subordinata" rispetto all'effettivo allontanamento dello straniero dal territorio, che peraltro in molti casi può risultare di fatto impossibile. Non contesta nemmeno la «ridotta capacità dissuasiva» della sola pena dell'ammenda: ma ritiene, significativamente, che queste valutazioni, e più in generale quella del «rapporto fra "costi e benefici" connessi all'introduzione della nuova figura criminosa, rapporto secondo molti largamente deficitario», attengano «all'opportunità della scelta legislativa su un piano di politica criminale e giudiziaria», di per sé «estraneo al sindacato di costituzionalità». Norma, dunque – sembra dire – forse (o probabilmente) inopportuna, ma non per questo incostituzionale.

Il punto più delicato riguarda l'assenza nella norma di ogni riferimento alla possibilità che il soggiorno irregolare dello straniero abbia un «giustificato motivo», a differenza di quanto la legge prevede nel caso del più grave reato di inottemperanza all'ordine di allontanamento emanato dal Questore. Qui la Corte, da un lato, valorizza giustamente la possibilità che ha il giudice di pace (competente per il nuovo reato), di ricorrere nei casi più lievi alla norma generale che consente di non procedere nei casi di «particolare tenuità del fatto». Dall'altro lato ammette che l'assenza del l'esimente del "giustificato motivo" rende non punibili solo le condotte tenute in vero e proprio stato di necessità in senso stretto (nonché i casi in cui lo straniero possa invocare l'esimente della «non conoscibilità» dell'obbligo o del divieto, o sia materialmente o giuridicamente impossibilitato a lasciare il territorio): ma ritiene che questa differenza di trattamento non sia manifestamente irragionevole. E quanto alla diversa gravità in concreto delle violazioni, si accontenta di richiamare il potere del giudice di commisurare la pena fra il minimo e il massimo (scelta peraltro ristretta fra 5mila e 10mila euro di ammenda).

Questo è il terreno su cui le considerazioni della Corte, che pure ha compiuto un notevole sforzo di "razionalizzazione" della scelta legislativa, suscitano più dubbi. Come pure dove reputa inammissibile, perché rimediarvi comporterebbe la scelta fra alternative aperte solo al legislatore, la censura della mancanza di una normativa transitoria per gli stranieri già irregolarmente presenti sul territorio quando la nuova norma è entrata in vigore. C'è poi un ultimo aspetto che resta non pregiudicato: la Corte richiama la direttiva europea 115 del 2008 che dà priorità alla "partenza volontaria" dello straniero privo di titolo di soggiorno, salvo quando l'espulsione consegua a titolo di sanzione penale o di conseguenza della stessa; ma non risolve l'interrogativo se questa eccezione possa valere (e non dovrebbe) nel caso del nuovo reato. Si limita a osservare che non è ancora scaduto il termine per l'adeguamento dei paesi membri alla direttiva (benché ci si possa interrogare sulla legittimità di una nuova norma che contrasti con una direttiva non ancora attuata ma già efficace).

Shopping24

Dai nostri archivi