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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2010 alle ore 08:09.
Va' dove ti porta il business. È questo il motto degli studi legali italiani che negli ultimi anni hanno aperto sedi all'estero (guarda la mappa). La spinta viene dai clienti, il freno dalla lingua, dal diritto e dalla burocrazia.
«Ottenere la licenza per la sede in Cina è dura, e in India è del tutto impossibile – spiega l'avvocato Fulvio Pastore Alinante, segretario generale di Asla, l'associazione studi legali associati –. Nonostante queste difficoltà, però, gli studi italiani hanno fatto grandi passi in avanti negli ultimi 20 anni». La molla è quella del cliente, che sempre più ha necessità di essere seguito da vicino dai professionisti. «L'internazionalizzazione sta cambiando – racconta Pastore Alinante –: le prime sedi estere erano nelle principali piazze finanziarie, Londra, Parigi, New York. Era necessario esserci, e gli studi ci sono andati. Adesso, invece, le calamite sono la Cina, i paesi arabi e i paesi dell'Europa dell'Est». Asla ha attualmente 100 studi associati, un terzo dei quali ha almeno una sede all'estero.
Uno dei primi studi a superare la frontiera è stato Chiomenti, che nel 1991 ha inaugurato l'ufficio di Londra. Da allora le bandierine aggiunte sulla mappa sono aumentate anno dopo anno. «La spinta verso l'estero proviene da due direzioni, spiega l'avvocato Filippo Modulo, socio dello studio: da un lato siamo incentivati ad aprire sedi vicine ai soggetti stranieri che si muovono verso l'Italia e dall'altro abbiamo la necessità di seguire le imprese italiane che aprono all'estero». L'ultimo ufficio inaugurato è quello di Hong Kong. «Per aprire in Cina – racconta Modulo – è necessaria un'autorizzazione del ministero della Giustizia cinese. C'è voluto oltre un anno per ottenerla prima di poter inaugurare la sede di Pechino, e per quella di Shangai abbiamo dovuto aspettare ulteriormente». Il lavoro in Asia si concentra sul diritto societario e commerciale, su IP/IT, sul diritto dell'energia e sugli arbitrati internazionali.
«Andare all'estero non è necessario per sopravvivere – sottolinea l'avvocato dello studio Chiomenti – ma è indispensabile per crescere. E poi l'apertura di sedi è un grande stimolo soprattutto per i giovani, che da noi hanno la possibilità di trascorrere periodi all'estero».