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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2010 alle ore 09:15.
A Cremona la Cna chiede «una revisione strutturale» del patto di stabilità, perché la lentezza crescente dei pagamenti «mette all'angolo le imprese, che non possono più contare su tempi ragionevoli indispensabili per la loro attività». A Parma gli edili dell'Unione industriale parlano di «situazione insostenibile» e di «rischi concreti di fallimento» per le imprese che lavorano con gli enti locali, e il sindaco Pietro Vignali ribatte in consiglio che «il comune ha 60 milioni di liquidità, ma il patto ci blocca».
Il problema è sempre quello, e nasce dal fatto che le regole di finanza pubblica vincolano i pagamenti in conto capitale, cioè quelli legati agli investimenti comunali che spesso seguono un percorso pluriennale. Le risorse in cassa ci sono, ma non possono essere spese per non peggiorare i conti pubblici. Le critiche sono corali: la Corte dei conti, nell'ultima relazione sulla finanza locale, ha parlato di «regole irrazionali», mentre l'Authority sugli appalti (determinazione 4/2010) ha condotto un'indagine ad ampio raggio registrando attese per i pagamenti che oscillano fra 92 e 664 giorni, con ritardi che accumulano debiti vicini ai 40 miliardi di euro.
Il tempo non cambia il problema, ma la sua gravità. La manovra correttiva ha svincolato dal patto di stabilità circa 300 milioni di euro, contro gli 1,6 miliardi liberati l'anno scorso: a Milano, solo per fare qualche esempio, le risorse extra patto passano da 104 a 23 milioni, a Torino si va da 40 a 9 milioni e a Napoli da 57 a 16.
L'Authority ha bocciato la prassi degli enti locali che già nei bandi allungano i tempi di pagamento rispetto ai limiti di legge (la regola generale prevede 30 giorni ed è fissata dal decreto legislativo 231/2002) e per evitare l'effetto domino nei ritardi ha suggerito che i contratti impongano alle imprese aggiudicatarie di pagare i subappaltatori con lo stesso giorno di valuta del credito liquidato dalla Pa.
A rilanciare il tema interviene anche la Finco, la federazione di Confindustria che rappresenta i 20mila produttori di beni e servizi per le costruzioni edili e stradali, chiedendo di estendere gli obblighi previsti dal decreto 231 anche ai subappalti di lavori pubblici e ai contratti di subaffidamento di forniture con posa in opera. La stessa federazione ha scritto poi a un gruppo di senatori e presidenti di commissione a Palazzo Madama per chiedere che nei disegni di legge su semplificazione e regole anti-corruzione sia affrontato il tema dei pagamenti lumaca.