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Norme e Tributi In primo piano

Swap a giudizio sulla fondatezza del «valore nullo»

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2010 alle ore 08:00.


Una delle questioni che ha assunto importanza cruciale nel dibattito sui derivati degli enti locali riguarda il valore «nullo» del contratto al momento della stipula. I sostenitori di questa teoria ricavano questa convinzione principalmente dal Documento Rischi (allegato 3 del Regolamento 11522/1998, oggi non più in vigore in quanto tutta la materia è oggetto del Regolamento Consob n. 16190 del 2007). Il Documento aveva una finalità solo informativa e gli intermediari erano obbligati a consegnarlo ai propri clienti (almeno a quelli che non si dichiaravano operatori qualificati) prima della conclusione di un contratto su strumenti derivati. Il paragrafo 4.1, parte B, del Documento Rischi prevedeva tra l'altro che «alla stipula del contratto, il valore di uno swap è sempre nullo ma esso può assumere rapidamente un valore negativo (o positivo) a seconda di come si muove il parametro a cui è collegato il contratto». Di segno contrario è la posizione di quanti ritengono la previsione del valore nullo una dichiarazione astratta, che non riflette il concreto funzionamento dell'intermediazione finanziaria (costi di intermediazione, costi di copertura, costi connessi ai rischi di credito). È poi arduo sostenere che un elemento importante come il criterio del valore nullo possa essere contenuto in un allegato al Regolamento Intermediari, che dice di avere come finalità quella di «fornire alcune informazioni di base sui rischi connessi ad investimenti e servizi».
La soluzione del dilemma del valore nullo è cruciale nei contenziosi oggi in atto in materia di derivati, dato che si tratta di contratti eseguiti al tempo in cui era in vigore il Regolamento 11522, oggi sostituito dal Regolamento Consob 16190 del 2007 (cui si è aggiunta Comunicazione Consob DIN/9019104 del 2 marzo 2009). Dalla lettura delle nuove disposizioni regolamentari, appare che il legislatore assuma oggi, come dato implicito, che gli strumenti finanziari derivati non abbiano necessariamente valore nullo al momento della loro sottoscrizione, e che tale valore negativo per una delle parti rifletta proprio alcuni costi, commissioni e margini connesse al l'intermediazione finanziaria.

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Tags Correlati: Consob | Normativa sui contratti |

 

Per questa ragione, dal 1° novembre 2007 l'intermediario è tenuto a comunicare al cliente (per lo meno a chi non venga classificato come cliente professionale) il valore di costi e commissioni (unbundling). Nel prevedere il dovere di esplicitare al cliente la scomposizione dei costi, delle spese e dei margini applicati al servizio di investimento prestato, la Consob ha razionalizzato la tutela del cliente. Il tutto, sulla base della concreta prassi di mercato secondo la quale ciascun servizio di investimento presuppone sempre l'applicazione di costi e commissioni a carico del cliente. Le nuove regole sull'unbundling rafforzano ancor più il dubbio se, nelle operazioni eseguite prima della loro entrata in vigore, gli intermediari siano incorsi in una violazione regolamentare (in assenza proprio di un obbligo informativo analogo a quello Mifid). In varie circostanze, le cause promosse nei confronti delle banche e degli intermediari da parte di enti locali pongono con forza la necessità di una risposta a questo dubbio. Il fatto che solo da qualche anno il legislatore abbia chiarito gli oneri informativi a carico degli intermediari meriterà un'attenta considerazione prima di stabilire eventuali responsabilità a carico degli intermediari.
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