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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2010 alle ore 08:01.
Lo Stato può limitare l'attività di operatori di altri Paesi membri nell'organizzazione di scommesse sportive e accentrare tutto nelle sue mani, a patto però che adotti una politica coerente in materia di giochi d'azzardo. Se le autorità nazionali, che vietano scommesse via internet per impedire la diffusione del gioco, mettono poi in campo pubblicità per lotterie o altri giochi si verifica una violazione del Trattato Ue.
Lo ha detto la Corte di giustizia Ue che, nella sentenza relativa a ben 8 cause riunite (C-316/07 e altre), depositata ieri, ha delimitato l'autonomia degli Stati in materia di scommesse, rimettendo in discussione le scelte di molti ordinamenti. Ancora una volta, nella causa decisa ieri, sul banco della Corte è finita la scelta di diversi Stati, in questo caso quello tedesco, di accentrare nell'autorità pubblica l'organizzazione delle scommesse sportive e di vietare ad operatori di altri Stati, che hanno già ottenuto una concessione nel proprio Paese, di far valere la propria autorizzazione o di svolgere l'attività online.
La Corte da un lato salva il sistema tedesco perché ammette che la tutela dell'ordine pubblico, la prevenzione della frode e la salvaguardia della salute sono motivi sufficienti a giustificare le restrizioni alla libera prestazione dei servizi ma, dall'altro lato, impone il rispetto del principio di proporzionalità. Se uno Stato limita la libera prestazione trincerandosi dietro l'esigenza di impedire la diffusione del gioco d'azzardo, non può poi condurre campagne pubblicitarie su diversi prodotti collegati a lotterie.
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