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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2010 alle ore 08:00.
Le norme sulle aziende partecipate continuano a suscitare dubbi interpretativi nel mondo degli enti locali. In particolare sono molti i comuni che non si rassegnano all'idea di non poter più fare gli imprenditori e che quindi hanno dubbi e perplessità su come vada interpretato il divieto ai comuni fino a 30mila abitanti di costituire società. Sul significato di questa norma alcuni comuni hanno proposto un quesito a Corte dei Conti.
La sezione per la Puglia ha risposto al comune di San Giorgio Jonico che domandava se potesse continuare a mantenere la sua società che gestiva il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti (del. 56/PAR/2010). La tesi della sezione Puglia è che l'articolo 23 bis del decreto legge n. 78 del 2010, in quanto legge di carattere speciale, prevale e quindi non può essere modificato da una norma di natura generale, che per altro persegue finalità di finanza pubblica, e perciò diverse da quella di gestione dei servizi pubblici locali. Un'interpretazione che di fatto limita in modo radicale l'efficacia dell'intervento della manovra 2010 in tema di riduzione delle società.
Sul tema, sempre caldo, interviene adesso la sezione di controllo per la Lombardia, da sempre punto di riferimento su questi temi, con un parere del 22 luglio ma depositato in questi giorni. Il comune di Castel Rozzone chiede, in particolare, se è possibile all'ente partecipare ad una società di «progettazione, sviluppo e realizzazione di impianti di produzione di energie rinnovabili e di commercializzazione dell'energia prodotta».
Diciamo subito che la Corte lombarda ritiene che per il comune non sia ammissibile partecipare a tale società, in quanto la normativa prevede «la necessità che il ricorso allo strumento societario sia circoscritto a reali necessità ed esigenze», tra le quali non vi è certo la produzione di energia. La sezione Lombardia condivide, nella sostanza, il fatto che l'articolo 14, comma 32, è una norma di carattere generale e quindi che non prevale in tutti quei casi «nei quali sia lo stesso legislatore, nazionale o regionale, a prevedere che specifiche attività siano svolte per il tramite della partecipazione a società di capitali».