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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2010 alle ore 14:14.
«La restituzione del fondo è esattamente quello che vogliamo. Ora vedremo come fare». La sentenza della Corte costituzionale che fa cadere la possibilità di sanare gli espropri irregolari è nata sul terreno della famiglia De Marco a Casapesenna.
Siamo nel sud della provincia di Caserta, dove Casal Di Principe, San Cipriano Aversa e altri comuni si susseguono in un abitato unico che sfonda verso la cintura di Napoli. Zone ad altissima densità, dove un'urbanizzazione disordinata rende prezioso un fondo agricolo da 16mila metri quadrati come quello che ha innescato la vicenda finita al palazzo della Consulta. Le cose preziose, però, si devono pagare.
Oggi sull'ex terreno dei De Marco l'agricoltura e il piccolo fabbricato rurale hanno ceduto il posto a un centro sportivo, ma la richiesta non cambia: «Sono otto anni che lottiamo per riavere il terreno che ci è stato tolto illegittimamente – spiega Gennaro De Marco –. L'unica alternativa potrebbe essere un risarcimento danni. Però consistente, vista la lunga vicenda».
Lunga e intricata, e nata nel 2002 quasi per caso. Anzi, a sentire il racconto degli interessati, proprio per uno sfortunato tentativo di tirare sul prezzo.
«Il progetto del campo di calcio – spiega De Marco – risaliva a 15 anni prima, e i costi previsti erano datati. Il comune ci offrì circa 10 euro al metro quadrato, cioè un quarto rispetto ad altri espropri dello stesso periodo, e rifiutò di aggiornare i valori: noi passammo le carte a un legale e si scoprì che la procedura era piena di vizi».
A quel punto inizia il diluvio delle carte bollate. In un primo contenzioso Tar Campania e Consiglio di stato hanno dato ragione ai De Marco, ma nel frattempo il comune ha avviato i lavori per il centro sportivo.
Visto lo stop della giustizia amministrativa, il comune ha imboccato la strada dell'acquisizione del bene con risarcimento danni al proprietario (come previsto dall'articolo 43 del testo unico sugli esprori, cioè la norma bocciata dalla Corte costituzionale); un primo procedimento è abortito perché effettuato con atto di giunta e non di consiglio, ma anche quando l'assemblea è stata coinvolta il progetto non ha ottenuto miglior fortuna.
I proprietari, ormai armati giuridicamente, hanno contestato i nuovi provvedimenti perché carenti della documentazione tecnica. È partito un altro giro al Tar e al Consiglio di stato, sfociato in un'altra bocciatura per il comune.