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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2010 alle ore 08:54.
La ragione principale che spinge a creare una società o ad aprire un conto in una banca di un paradiso fiscale (visiona qui la mappa del Sole 24 Ore) è la tassazione più conveniente rispetto al proprio paese. E soprattutto la segretezza delle informazioni su beneficiari e oparazioni svolte. Una caratteristica quest'ultima che può essere garantita in tre modi secondo l'Ocse (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).
Devono esserci una legislazione poco trasparente e pratiche amministrative che ostacolino lo scambio di informazioni con le autorità dei paesi stranieri. I "tax heaven" poi non richiedono espressamente alle società estere che ospitano, di dimostrare che la propria attività si svolge nel paese.
I paradisi fiscali sono quasi tutti paesi offshore, ma non è sempre vero(il contrario). Il Fondo monetario internazionale definisce offshore (letteramente oltremare) un paese in cui la maggior parte delle attività finanziarie interessa società straniere. Si tratta di un grosso calderone di cui fanno parte tanti paesi come la Svizzera, Singapore, ma anche Dublino e Londra, dove molte persone benestanti stabiliscono la propria residenza per pagare meno tasse (lo ha fatto Valentino Rossi salvo poi essere pizzicato dal Fisco italiano).
La lotta ai paradisi fiscali ha subìto un'accelerazione negli ultimi anni per effetto della crisi che ha svuotato le casse dei grandi paesi occidentali, costretti a varare colossali piani di stimolo all'economia e miliardari salvataggi bancari. Il passo più importante è stato fatto al G 20 di Londra del 2009, nel corso del quale è stato dato un forte incarico all'Ocse.
Il 2 aprile dell'anno scorso l'organizzazione ha pubblicato una black list, dei paesi non collaborativi sul fronte dello scambio di informazioni di cui facevano parte Costa Rica Malesia, Filippine e Uruguay. Un gruppo molto più ampio di paesi, che comprendeva Svizzera, Austria e Belgio invece era stato inserito nella cosiddetta lista grigia. Di questa facevano parte quei paesi che, pur essendosi impegnati ufficialmente ad adeguarsi agli standard internazionali di trasparenza, non avevano ancora messo in pratica misure concrete.
Diversi paesi di questa lista grigia, complice la pressione internazionale, hanno modificato la propria legislazione (la Svizzera ha rivisto le sue norme sul segreto bancario) oppure hanno siglato diversi accordi bilaterali per lo scambio di informazioni. Così nel giro di un paio di anni la lista nera è scomparsa e quella grigia si è svuotata. La pattuglia degli osservati speciali si è ridotta a Belize, Liberia, Monserrat, Nauru, Niue, Panama, Vanatu, Costa Rica, Guatemala e Uruguay.