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Economia Politica economica

Il Ghana free zone per gli investimenti stranieri diventa paradiso fiscale

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2010 alle ore 09:46.

Quando il tenente Jerry Rawlings era sceso dall'unico (o quasi) aereo dell'aviazione ghaniana per prendere il potere, nel 1979, certo non immaginava che il suo paese sarebbe diventato un offshore africano.

Raro esempio di passaggio dal potere "rivoluzionario" a quello civile con elezioni esemplari (dal 1992), il Ghana si è avviato da tempo alla crescita economica, anche se non costante. Gli ultimi disordini etnici seri risalgono al 2002. In questo contesto, ci sarebbe da aspettarsi un quadro di economia agricola e di sfruttamento delle risorse minerarie (anche diamanti e oro). Una crescita economica che da anni si aggira sull'8-10 per cento, un Pil pro capite piuttosto basso ma non disprezzabile (2.152 dollari nel 2009), un'inflazione vicina al 20% (per l'Africa non è male) disegnano l'immagine di una nazione ancora povera ma dignitosa. Tra i progetti più importanti, quello di una nuova diga per portare energia elettrica ai paesi vicini.

Proprio la stabilità politica, però, ha suscitato gli appetiti europei. E la scoperta del petrolio ha fatto il resto. Le riserve del Ghana Giubileo sicuramente recuperabili sono stimate in 800 milioni di barili. E, guarda caso, la società per lo sfruttamento, la Giubileo Ghana MV 21 BV è stata costituita in Olanda, terra d'elezione per chi vuole costituire società legate ai paesi offshore e beneficiaria di una sorprendente gamma di soluzioni societarie per operazioni che necessitano di una certo dinamismo.

Il nuovo presidente, John Atta-Mills, eletto nel 2009 con poche migliaia di voti di differenza, ha sconfitto la destra conservatrice (ma attenta al welfare) dopo otto anni e si è trovato dinanzi al rischio dello sviluppo disordinato, alla nigeriana, foriero di disordine sociale e politico, che in genere viene portato dal petrolio. Le basi, invece, sono state poste bene: il Ghana ha adottato, almeno ufficialmente, la trasparenza sugli incassi petroliferi sancita dagli standard della World Bank.

Mills, 66 anni, è docente di legge e conosce bene il diritto tributario anglosassone. L'idea di sfruttare la stabilità del paese e le sue prospettive di crescita per ospitare capitali di stranieri riottosi alla tassazione è nata, del resto, prima della sua vittoria elettorale. È dal 2007 che la Barclays lavorava per la creazione di una serie di facility offshore. E oggi, secondo il commentatore finanziario Rudolf Elmer (ex a.d. di Julius Baer, ha rilasciato una lunga intervista sul web lo scorso agosto), 13 miliardi dollari sarebbero già ad Accra.

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La tassazione, del resto, è generosa con gli stranieri: chi investe in non meglio specificati «servizi tecnici» (previo accordo con tra governi) è esentasse. Così come nelle free zone le società che operano non pagano imposte per dieci anni, poi comunque la tassazione è ridotta all'8 per cento. Pochi mesi fa è stata creata l'agenzia delle entrate locale (la Ghana Revenue Authority) e riordinato il sistema del prelievo. Ma in generale il fisco non è pesante: l'aliquota massima in assoluto dell'imposta sui redditi è il 25 per cento.

Come stupirsi se Barack Obama, nella sua visita lampo in Africa del 2009, si è fermato solo ad Accra? Evidentemente non si è trattato solo di commemorare gli schiavi che partivano dalla coste ghaniane.

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