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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2011 alle ore 06:41.
Rotta verso la Camera per la riforma del condominio, che ieri ha doppiato l'approvazione con il voto finale del Senato. Con pochissime modifiche rispetto al testo della commissione Giustizia, che peraltro è stato discusso per oltre un anno. Più responsabilità e più poteri all'amministratore, possibilità di vendere a maggioranza i beni condominiali, maggiore incisività nel recupero dei crediti e maggiore attenzione alla sicurezza, tra i temi della riforma. Che è stata accolta in modo tiepido dagli amministratori condominiali (si veda l'articolo a fianco) e, in qualche caso, ha raccolto critiche pesanti.
Il testo licenziato dal Senato e atteso all'esame della Camera
Il voto è stato bipartisan, con l'astensione del terzo polo che in commissione, invece, aveva votato a favore. «Il Codice civile ha saputo reggere il passo dei tempi ma necessitava di qualche ritocco per rispondere al meglio alle complesse tematiche e meglio tutelare gli interessi condominiali» ha commentato Franco Mugnai, relatore al Ddl As71, che da anni è impegnato per il varo del provvedimento. Anche dall'opposizione ci sono parole incoraggianti: «La disciplina del condominio è vetusta, tanto da rendere necessaria l'integrazione con migliaia di interventi della giurisprudenza - ha detto Giovanni Legnini, primo firmatario del Ddl -. La riforma era quindi attesa e necessaria e per questo siamo stati i primi a presentare un disegno di legge, in gran parte accettato nel testo oggi approvato».
Nel concreto, la riforma va a riscrivere una buona parte degli articoli da 1117 a 1139 e da 61 a 72 delle disposizioni di attuazione. Si comincia con una speciale attenzione agli impianti di ricezione radiotelevisiva e accesso a internet, classificati tra le parti comuni. Segue una mini disciplina del supercondominio, che viene ufficialmente ricompreso nella disciplina.
Uno dei piatti forti (e anche meno digeriti da alcuni giuristi) è la nuova regolamentazione dalla cessione delle parti comuni. In sostanza si parla di «sostituzione delle parti comuni» o della «modificazione della loro destinazione d'uso, se ne è cessata l'utilità ovvero è altrimenti realizzabile l'interesse comune». In questi casi, sostituzione o modificazione possono essere approvate con la maggioranza degli intervenuti in assemblea, che rappresentino almeno due terzi dei millesimi. La delibera va redatta con atto pubblico a pena di nullità e deve determinare l'indennità ai condomini «che sopportino diminuzione del loro diritto». Secondo gli estensori della norma, modificazione e sostituzione danno la possibilità di effettuare contestualmente la cessione dei beni comuni (che di fatto perdono così la loro qualifica). Portinerie deserte e sottotetti abbandonati potranno essere venduti anche se per alcuni commentatori si tratta di una vera violazione alla tutela del diritto di proprietà.