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Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2011 alle ore 07:50.

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«Ormai è chiaro una volta per tutte: qui in Italia non si vuole che investiamo, che facciamo ricerca, che creiamo occupazione. Verso l'industria farmaceutica c'è un'indifferenza assoluta. Quale competizione e rilancio si vuole davvero per il sistema-Paese?». Ormai quasi non c'è più rabbia, neppure alza più i toni della voce. Dire che Sergio Dompé, presidente di Farmindustria, ha accolto con stupore il nuovo strappo – 36 milioni di tagli – arrivati a sorpresa col milleproroghe, è quasi un eufemismo.

Sulle farmaceutiche si fanno gravare 2 mesi di tagli – dal 31 maggio al 31 luglio 2010 – del dimezzamento dei margini delle farmacie. Già allora, con la manovra estiva, le industrie erano insorte. Adesso, con la decisione di recuperare anche la somma dei due mesi antecedenti alla modifica alla manovra estiva (il dl 78) non previsti nel testo originario, per le industrie arriva una nuova stangata. O stangatina che dir si voglia, magari anche per tamponare i bilanci degli enti lirici.

Presidente Dompé, ci trattano come un bancomat, avete sempre protestato in questi anni. Ci risiamo?
A questo punto siamo estremamente preoccupati. Quella che vediamo è l'assenza più assoluta di attenzione verso l'industria farmaceutica. Dire che il nostro giudizio è negativo, onestamente, è dire troppo poco. Continuiamo a registrare un'assenza costante di attenzione nei confronti di un settore vitale e trainante per l'economia del Paese. E questo fa un danno al Paese, non solo a noi.

Il bancomat serve per prelevare dove ci sono le risorse...
Questa è pura miopia. Addossano retroattivamente a carico dell'industria la metà dei tagli destinati alle farmacie. Vorrei far presente, se qualcuno non lo ricorda, o finge di non saperlo, che oggi il nostro ricavo netto è di sei su dieci. In Inghilterra è di otto su dieci. Faccia un raffronto: da noi vale il 30% in meno. Il 30% in meno di competitività. E allora domando: ma non si chiede alle imprese di essere competitive? Ma come essere competitivi, se il quadro di riferimento che ci si propone è questo?

Invece l'industria farmaceutica in Italia si sente una potenziale prima della classe. Non è che esagerate?
Tutti gli indicatori, tutti gli studi e i fondamentali dell'industria, dicono che siamo il settore più connesso con l'economia della conoscenza, con l'export, col finanziamento dei programmi di ricerca. Nell'industria farmaceutica c'è la vera eccellenza, la ricerca più avanzata, la capacità di stare al passo, anzi, di anticipare il progresso. Gli straordinari successi della medicina possono testimoniarlo senza ombra di dubbio.

E invece, lamentate, col milleproroghe fate un altro passo indietro. In fin dei conti vi si chiede "solo" uno sforzo di altri 35 milioni. Non è una stangatona...
È un grave colpo in più a nostro carico. Ed è un principio da difendere, perché in questo modo facciamo solo passi indietro. Come si fa a parlare ancora di investimenti? Quali investitori possiamo portare ancora in Italia, se queste sono le prospettive offerte a chi anche solo pensa di puntare sul nostro Paese? La verità è che i nuovi investimenti ormai sono azzerati. E che per la prima volta da dieci anni la ricerca clinica, dopo essere cresciuta a due cifre, è scesa a doppia cifra. E se l'occupazione in tre anni è scesa di 8.500 unità, di sicuro non è stato un caso.

La sanità pubblica però è un pozzo senza fondo: i conti non tornano più.
E allora si colpiscano gli sprechi veri. Tutti li conosciamo. La spesa farmaceutica sul territorio sta tenendo, anzi è sotto il budget nonostante siano conteggiati anche gli introiti per i ticket e l'ossigeno terapeutico. Nel 2010 per la farmaceutica territoriale s'è speso meno di nove anni fa. Negli altri settori della sanità, invece, la spesa è salita del 60%. Vorrà pur dire qualcosa, no?

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