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Norme e Tributi Fisco

Partecipazioni dei comuni nelle società a partecipazione pubblica: l'addio slitta a fine 2013

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2011 alle ore 09:29.

Slitta a fine 2013 l'addio obbligatorio alle società da parte dei comuni fino a 50mila abitanti, nuovi parametri provano a evitare ai sindaci di dover abbandonare le partecipate «virtuose», ma rimangono senza soluzione i principali problemi applicativi che la dismissione obbligatoria ha sollevato fin dal suo apparire nella manovra estiva.

Nella sua versione originale, la regola avrebbe voluto dare un taglio secco al «socialismo municipale» portato avanti nei 7.950 comuni che non arrivano a 50mila abitanti (sono il 98% dei municipi italiani), e che hanno in portafoglio gran parte delle quasi 5mila società a partecipazione pubblica censite dal governo. Tanto slancio, però, si è perso in fretta: nella legge di stabilità era comparsa una prima scrematura nel tentativo di escludere i «virtuosi» e nel maxiemendamento governativo al milleproroghe si è riscritta tutta la disciplina. Anche nella nuova versione, però, non mancano le incongruenze.

Prima di tutto, il correttivo approvato mercoledì al Senato sposta al 2013 l'appuntamento con la dismissione delle partecipazioni non più consentite dalla legge. Per sopravvivere anche oltre quella data, le società dovranno mantenere da qui in poi i bilanci in utile, e dovranno vantare una storia senza macchie: negli «esercizi precedenti», quindi, anche in quelli che precedono il 2011, non devono aver subito perdite tali da intaccare il capitale, e non possono essere state destinatarie di aumenti di capitale obbligatori da parte dei comuni che hanno in tasca le partecipazioni. L'obbligo di ripiano, vista la genericità della norma, non sembra limitato ai casi in cui il capitale scende sotto i limiti minimi imposti dal codice civile (articoli 2446 e 2447), ma può essere scattato anche per delibere dell'assemblea.

Qui arriva il primo problema. Fino a quanto deve andare indietro l'analisi della storia della società per garantire la sua «virtù» e di conseguenza consentirle di dribblare l'obbligo di dismissione? Le società che hanno decenni di vita devono essere immacolate fin dalla loro fondazione? La nuova regola al riguardo non dice nulla, ed è probabile che presto dovranno intervenire dei correttivi.

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Così concepiti, comunque, i nuovi parametri di virtuosità già condannano una serie di società, che negli ultimi anni hanno subito una ricapitalizzazione o una diminuzione del capitale causata da perdite. Per loro non c'è speranza, ma nonostante questo la data di scadenza si sposta comunque al 2013. Le altre società, che non sono incappate in questi problemi, si dovranno giocare la sopravvivenza con i conti dei prossimi tre anni.

La riscrittura delle regole sulle società si occupa solo degli obblighi di dismissione e non affronta uno dei nodi principali, perché oltre a imporre l'addio il taglia-partecipate scritto nella manovra estiva impedisce anche la costituzione di nuove realtà o l'acquisto di quote. In che ambiti? In alcuni settori la partecipazione societaria è la via obbligata per i comuni nella gestione dei servizi, e proprio per questa ragione la Corte dei conti della Lombardia è intervenuta recentemente per sostenere che il blocco non scatta per «le società obbligatorie per legge». Una sezione regionale della Corte, per quanto autorevole, non basta però a fissare i cardini interpretativi di una norma, e infatti lo stesso Parlamento aveva imposto la scrittura di un decreto ministeriale sul tema, di cui però non vi è ancora traccia.

Il problema si intreccia con la «riforma» di acqua e rifiuti, che impone entro il 31 marzo la chiusura delle Autorità d'ambito. Le regioni devono decidere a chi affidare questi compiti e in molti casi, dalla Lombardia alla Toscana, si sta scegliendo la via dell'azienda speciale partecipata dai comuni. Come si coordinerà questa regola con quella che chiede l'addio alle società? La questione è destinata a scoppiare a breve, a meno che un Dpcm intervenga in extremis per rimandare anche il pensionamento delle autorità d'ambito.

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