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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2011 alle ore 10:48.

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Il processo civile è ancora in affannoIl processo civile è ancora in affanno

Mentre dai cassetti del governo rispunta il progetto di riforma della giustizia, oltre 5 milioni e mezzo di fascicoli rimangono sui tavoli dei giudici civili a ricordare che il calendario delle emergenze non è ancora cambiato.
Il consiglio dei ministri di venerdì scorso all'unanimità ha messo nelle mani di Angelino Alfano le chiavi per riaprire il cantiere degli interventi di carattere ordinamentale.

A partire dal ddl costituzionale sulla separazione delle carriere di giudici e pm, con lo sdoppiamento del consiglio superiore della magistratura, fino alla creazione di un'alta corte per i procedimenti disciplinari delle toghe e all'attribuzione di maggiori poteri al guardasigilli. Sarà poi un comitato di ministri ed esperti, che già questa settimana si metterà al lavoro, a preparare un testo da sottoporre a un consiglio dei ministri straordinario. Nel frattempo, il parlamento è alle prese con il processo breve e con il ddl sulle intercettazioni, mentre Silvio Berlusconi pressa per rispolverare l'immunità parlamentare.

E il civile? Solo un paio di settimane fa, lo stesso consiglio dei ministri aveva annunciato il disegno di legge per incrementare la produttività del sistema e per ridurre la durata dei processi. Ma di questi tempi è difficile parlare di un disegno di legge come di qualcosa che possa presto incidere sulla realtà. E il testo non è stato neanche presentato in parlamento. Troppe variabili entrano in gioco, a cominciare dalla tenuta dei numeri di sostegno al governo, soprattutto alla camera, sebbene la diaspora da Fli paia dare qualche respiro alla maggioranza.

Allo stato, diventa dunque difficile esprimere un giudizio definitivo sulle scelte del governo in tema di giustizia, ma si possono certo vedere i risultati parziali ottenuti con quanto finora proposto. A cominciare dalla riforma del processo civile dell'estate 2009, una legge non solo immediatamente operativa in gran parte dei suoi contenuti, ma che allo stesso tempo indicava un lungo percorso di attuazione con un corollario di successivi provvedimenti da adottare che avrebbero costruito il grimaldello per scardinare una volta per tutte le resistenze dell'arretrato (come la conciliazione o il riordino dei riti).
E se il buongiorno si vede dal mattino, i risultati raggiunti nelle prime stagioni di applicazione non lasciano ben sperare per il futuro. Nell'anno di rodaggio della riforma l'arretrato è sostanzialmente rimasto sugli stessi livelli del periodo precedente, con l'impercettibile flessione dello 0,8 per cento: a conti fatti, in dodici mesi i procedimenti civili pendenti sono scesi di neanche 48mila unità. Questo il topolino partorito dalla montagna dell'apparato di misure contenute nella legge dell'estate 2009: a giugno 2010, il numero di faldoni da smaltire è rimasto cristallizzato sopra la soglia dei 5 milioni e 600mila.
Che cosa non ha funzionato? Di sicuro il processo sommario di cognizione, una sorta di rito semplificato per le controversie di competenza del giudice monocratico, non ha avuto l'impatto che ci si aspettava. È compito delle parti, cioè dei legali, chiedere in cancelleria l'iscrizione a ruolo della causa secondo le regole semplificate di questo nuovo rito.

Il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha peraltro confermato una sensazione già emersa (si veda il Sole 24 Ore del 26 aprile 2010) in un'inchiesta a sei mesi dall'entrata in vigore di questo nuovo strumento processuale. Ora anche il primo presidente ha citato cifre che la dicono lunga sull'appeal della novità: a Bologna, ad esempio, sono stati iscritti neanche 170 ricorsi in quasi due anni; a Verona, 164 cause su 3.693 nel corso dell'intero 2010. Secondo Lupo, l'applicazione del rito semplificato riguarda neanche il 10% delle nuove cause, nonostante i giudici abbiano nella prassi limato anche alcune delle rigidità della disciplina.

L'altra gamba su cui poggia la riforma è quella della media-conciliazione (frutto di una delle deleghe contenute nella legge del 2009), ma il parziale rinvio concesso con il milleproroghe (si veda l'articolo in basso) attenua non poco l'effetto-smaltimento che avrebbe potuto determinare. Sebbene, a prescindere dalla proroga, alcuni meccanismi ne abbiano depotenziato l'efficacia in radice: ad esempio, quando si è deciso di non rendere obbligatorio e vincolante il parere del mediatore nel caso in cui le parti non avessero trovato l'accordo amichevole. Insieme alla conciliazione, era prevista pure la delega sul riordino dei riti, rimasta ancora lettera morta, per semplificare il ginepraio di procedure che incombe sulla giustizia civile.

A fianco ai provvedimenti legati alla riforma del 2009, il governo è poi intervenuto anche sul fronte dei costi per disincentivare il ricorso alla macchina giudiziaria. A partire dal 1° gennaio 2010, a esempio, si è introdotto il pagamento del contributo unificato – la tassa d'accesso alla giustizia – per le opposizioni alle sazioni amministrative. Insomma, per chiedere l'annullamento delle multe per l'infrazione al codice della strada è ora necessario pagare 30 euro. Effettivamente il numero delle opposizioni presentate è diminuito, ma nel frattempo la competenza per valore del giudice di pace è stata innalzata (il nuovo tetto è a 5mila euro, il doppio di prima), di conseguenza le cause iscritte presso gli uffici dei giudici di pace sono diminuite solo del 5 per cento circa. Insomma, quello che si è tentato di far uscire dalla porta è rientrato dalla finestra.

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