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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2011 alle ore 18:55.
ROMA - La Cassazione spiazza la Camera con una decisione destinata a pesare nel caso-Ruby e che segna un punto a favore dei magistrati di Milano. Secondo la suprema Corte, infatti, è il giudice ordinario che stabilisce se un reato ha natura ministeriale e, una volta esclusa la ministerialità, non ha l'obbligo di informare la Camera di appartenenza dell'imputato-ministro.
La decisione è stata presa ieri sera, al termine di un'udienza della VI sezione penale, e riguarda l'ex ministro della giustizia Clemente Mastella, imputato a Napoli per alcuni reati, tra cui la concussione. Ma le analogie con il processo Ruby sono evidenti. In entrambi i casi, infatti, i magistrati (milanesi e napoletani) non hanno avuto dubbi sulla natura «comune» dei reati contestati agli indagati (Berlusconi e Mastella) e perciò non hanno né trasmesso gli atti al Tribunale dei ministri né informato le Camere di appartenenza. Sono andati avanti. Nel caso-Mastella, a novembre 2010 il Senato ha sollevato conflitto di attribuzioni e il 9 marzo la Consulta si pronuncerà sull'ammissibilità del ricorso. Più o meno contestualmente al conflitto, la difesa dell'ex ministro ha sostenuto davanti al Gup di Napoli la natura ministeriale dei reati e, quindi, la competenza del Tribunale dei ministri, ma il giudice ha rigettato l'eccezione ed è andato avanti nel processo. Decisione «abnorme», secondo la difesa, che l'ha impugnata in Cassazione: il giudice, omettendo di informare il Senato, avrebbe infatti privato l'ex ministro della tutela delle sue prerogative costituzionali. E ciò in base alla sentenza 241/2010 della Consulta, richiamata anche dai capigruppo della maggioranza nella lettera a Gianfranco Fini, con cui chiedono che la Camera sollevi conflitto di attribuzioni nel caso-Ruby.
La sentenza 241 (scritta dal giudice Giuseppe Frigo, eletto dal parlamento in quota Pdl) dice che il Tribunale dei ministri ha l'obbligo di «comunicare» alla Camera la decisione di archiviare il procedimento, anche se l'archiviazione dipende dal fatto che il reato non è ministeriale, ma «comune», e quindi di competenza della Procura. La Consulta spiega che la comunicazione serve a dare alla Camera la possibilità di sollevare conflitto di attribuzioni qualora ritenga, a differenza del Tribunale dei ministri, che il reato sia ministeriale. Secondo la difesa di Mastella, però, la decisione della Consulta va letta in modo estensivo, imponendo (anche) al giudice ordinario l'obbligo sancito dalla legge (solo) per il Tribunale dei ministri. Pertanto, se il giudice rigetta l'eccezione di «incompetenza funzionale», deve informarne la Camera. Altrimenti compie un «atto abnorme». Ma la tesi è stata bocciata ieri dalla Cassazione.
«Rientra nelle attribuzioni dell'autorità giudiziaria verificare i presupposti della propria competenza», si legge nella «notizia di decisione» depositata in cancelleria dopo l'udienza. E si aggiunge che, nel caso in esame, «non è prescritto alcun dovere di informativa alla Camera di appartenenza dell'interessato». Naturalmente, il principio si applica quando non c'è il coinvolgimento del Tribunale dei ministri. Come nel caso-Ruby.
Le motivazioni si conosceranno tra qualche settimana, ma si può fin d'ora ritenere che per la Cassazione è solo il giudice ordinario a stabilire la natura ministeriale del reato. Se l'imputato non è d'accordo, può sempre utilizzare i rimedi interni al processo (impugnazione in appello e poi in Cassazione). Quindi, nella qualificazione del reato, autorità giudiziaria e Camera non sono sullo stesso piano. E la prima non ha né il dovere di passare le carte al Tribunale dei ministri né quello di informare il parlamento. Non farlo non è né un'abnormità né «una scorrettezza», come invece sostengono i capigruppo della maggioranza nella lettera a Fini per far sollevare alla Camera il conflitto di attribuzioni.
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