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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2011 alle ore 09:10.

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Non ha rilevanza penale la semplice mancata presentazione del modello Intrastat. Da sola, infatti, la violazione rappresenta un illecito amministrativo punito con una specifica sanzione. Lo chiarisce la Corte di cassazione con la sentenza n. 8962 della Terza sezione penale depositata ieri. La pronuncia ha annullato la condanna a un anno e sei mesi di carcere disposta dalla Corte d'appello di Genova nei confronti di un imprenditore considerato colpevole del reato disciplinato dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici).

Secondo l'accusa, l'imprenditore avrebbe indicato nella dichiarazione Iva del 2002 un attivo inferiore a quello reale realizzando un'evasione di quasi 4 milioni e mezzo di euro. Sarebbe così stata fornita una falsa rappresentazione nei registri Iva delle operazioni eseguite che venivano indicate come soggette al regime del margine e non a quello ordinario, utilizzando inoltre stratagemmi idonei a evitare l'accertamento come l'omissione dei modelli Intrastat, la mancata regolarizzazione delle fatture d'acquisto, la detenzione di dichiarazioni sostitutive di atto notorio dalle quali risultava l'assolvimento degli obblighi Iva.

Tra i vari motivi di ricorso, la Cassazione ne ha accolto uno: quello incentrato sull'inesistenza dell'elemento della fraudolenza. Per la difesa, infatti, la condotta sospetta, per avere rilevanza penale, deve essere «maliziosamente» indirizzata all'evasione dell'imposta.

Ma, nel caso in questione, risultava del tutto evidente l'assenza degli artifici richiesti dalla disposizione penale, visto che l'interessato non aveva posto in essere alcun comportamento idoneo a ostacolare l'accertamento, dal momento che tutte le fatture emesse riportavano il regime di fatturazione prescelto.

La Cassazione sottolinea che per configurare il reato è necessario non solo che il contribuente indichi nelle dichiarazioni annuali un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, «ma è anche necessario il dolo specifico del fine di evadere le imposte sui redditi o sull'Iva, nonché che ciò avvenga sulla base di una falsa rappresentazione delle scritture contabili e che il soggetto si sia avvalso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento della falsa rappresentazione».

La Corte d'appello ha invece utilizzato, per confermare la condanna inflitta in primo grado, una motivazione «apodittica ed in realtà meramente apparente», perché non ha specificato la natura e la tipologia dei raggiri che l'imprenditore avrebbe realizzato per ostacolare la verifica della falsa rappresentazione nelle scritture contabili, ma si è limitata ad affermare che il raggiro consisterebbe nella mancata comunicazione delle operazioni mediante il modello Intrastat. Ma anche in questo caso senza spiegare la ragione per cui un comportamento omissivo, sanzionato a solo titolo amministrativo, potrebbe essere considerato un artificio adatto a permettere l'applicazione della misura penale.

La stessa Cassazione, con la sentenza n. 8982 depositata ieri, sempre nella materia del penale tributario ha invece affermato, aderendo ad alcuni suoi precedenti anche assai recenti, che il reato di omessa dichiarazione è contestabile solo se il superamento della soglia di 77.468,53 euro è stato determinato sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d'esercizio fiscalmente detraibili «in una prospettiva di prevalenza del dato reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzando l'ordinamento tributario».

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