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Questo articolo è stato pubblicato il 16 marzo 2011 alle ore 09:02.

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Chiamarlo patrimonio sembra davvero troppo. Una massa di beni di valore quasi nullo, con qualche sporadica eccezione, e stupefacenti sperequazioni territoriali, rappresenta la prima dote del federalismo del mattone. Ma non basta: data una scorsa ai «beni» trasferibili ai loro comuni, i sindaci segnalano che molte amministrazioni statali hanno dichiarato di usare immobili che in realtà sono vuoti, mentre ben 5mila immobili mancano ancora all'appello lanciato dal Demanio.

Insomma, la situazione è quanto meno confusa, nonostante i ritardi sulla tabella di marcia e servirà proprio a superare questa impasse la «cabina di regia» paritetica chiesta dai sindaci come condizione indispensabile per dare parere positivo ai primi elenchi, attesi in conferenza unificata il 24 marzo. «Se questi sono i beni attribuibili ai comuni – taglia corto Roberto Reggi, sindaco di Piacenza e vicepresidente Anci che sta seguendo il dossier – il federalismo demaniale non partirà mai perché pochissimi sindaci faranno la richiesta. Forse è la volontà politica di alcuni ministeri, assecondata dal fatto che il Tesoro non ha svolto il ruolo di regia che avrebbe dovuto assumere». Per cambiare rotta, gli elenchi dei beni trasmessi dai vari ministeri (ma mancano ancora "proprietari" importanti, come il ministero del Welfare) dovrebbero passare al vaglio dei sindaci, che potranno anche indicare immobili che accendono il loro interesse ma sono dimenticati dagli elenchi.

Il problema nasce dalla procedura seguita finora. I beni immobili (case e terreni) dello stato sono 31.300, di cui solo 4.500 fanno parte del demanio storico-artistico vero e proprio. Il resto, chiamato «patrimonio dello stato», si distingue in disponibile e indisponibile. A questa seconda categoria, in base ai dati del Demanio, appartengono quasi i due terzi dei beni: ma come sono stati individuati? Il Demanio ha interpellato tutte le pubbliche amministrazioni, che avrebbero già dovuto rispondere sull'effettivo utilizzo dei beni in loro uso. Ebbene, circa la metà ha già risposto (naturalmente dichiarando indispensabili praticamente tutti i beni), mentre la metà non ha risposto del tutto: 5mila beni sono quindi ancora sotto esame e tra questi potrebbero trovarsene alcuni da trasferire.

Colpisce anche l'enorme quantità di beni affidati a università ed enti territoriali, o usati come luoghi di culto. Considerando anche i parchi naturali e i beni nelle regioni a statuto speciale (esclusi dai trasferimenti) si arriva a 7mila. A maggio 2010 il direttore del Demanio, Maurizio Prato, presentò al Parlamento 19.005 beni potenzialmente trasferibili, quasi il doppio di quelli oggi elencati. È chiaro che in questi mesi c'è stata una corsa a definire molti beni come «indispensabili» alle pubbliche amministrazioni.

Alla fine, restano disponibili solo i beni che in pratica interessano poco o che da anni sono rimasti in portafoglio senza utilizzo perché in rovina o di utilizzo difficile. Ci sono però paesi baciati dalla fortuna, come Bernalda, in provincia di Matera, 12mila abitanti, dove risultano trasferibili più beni che a Roma e per un valore di decine di milioni.

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