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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2011 alle ore 18:49.

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Protezione ampia solo per chi fugge da un conflittoProtezione ampia solo per chi fugge da un conflitto

Piena tutela agli extracomunitari in fuga dai paesi di origine ma solo se il pericolo è esteso all'intero paese. E solo se sono in grado di provare un rischio reale di essere sottoposti a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti. Solo a queste condizioni, dunque, scatta una forma di tutela piena. È il cosiddetto regime della «protezione sussidiaria», una garanzia "stabile", che viene accompagnata necessariamente da un permesso di soggiorno triennale e che da diritto alla «fruizione di un complesso quadro di diritti e facoltà». E non più soltanto a un transitorio permesso umanitario internazionale.

Il nuovo regime di tutele
Il regime della "protezione sussidiaria", è previsto da una direttiva comunitaria, e recepito dalla legge nazionale. Secondo la Cassazione può ritenersi una forma di tutela «in parte nuova e in parte assimilabile, sotto il profilo dei requisiti necessari per il suo riconoscimento ai permessi di natura umanitaria», previsti dal Dlgs 286/1998. Fra i diritti riconosciuti da questa forma di protezione vi è: l'accesso al lavoro, allo studio ed alle prestazioni sanitarie, sempre sotto il controllo diretto delle Commissioni territoriali. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza 6879/2011, rigettando il ricorso di un cittadino del Burkina Faso che aveva impugnato una sentenza della Corte di Appello di Cagliari con cui era stato confermato il rigetto della domanda di protezione internazionale.

Chi propone una domanda di protezione internzionale ha diritto a un esame unico
La Cassazione coglie l'occasione per chiarire anche che chi propone una domanda di protezione internazionale ha diritto ad un esame "unico", cioè complessivo, «delle condizioni e delle ragioni umanitarie» che ha posto alla base della richiesta di asilo. Ma ribadisce che la modulazione della protezione dipende dal rischio effettivamente corso nel paese di provenienza dal singolo individuo. Però: se esistono gravi motivi umanitari, anche differenti rispetto a quelli alla base della domanda di protezione sussidiaria, le commissioni territoriali devono trasmettere gli atti alla questura per l`eventuale permesso di soggiorno: si tratta di una misura residuale, non a caso limitata nel tempo. E ciò perché potrebbe essere legittimata dalla particolare condizione personale del richiedente oppure da una speranza di rapida evoluzione della situazione nel Paese d`origine.

Il caso d'origine
Il cittadino extracomunitario si era rivolto al giudice dichiarando che durante i "feroci" scontri che si erano verificati in occasione dell'elezione del capo del suo villaggio, il fratello sarebbe rimasto ucciso. A questo punto, a causa dello stato di indigenza in cui versava egli era stato costretto alla fuga perché il «sistema corrotto» vigente nel paese non gli avrebbe mai dato l'opportunità di avere giustizia non potendo pagare i poliziotti. Ragion per cui era prima scappato in Libia e poi da lì in Italia, mancando a Tripoli un sistema di protezione per i rifugiati.

Protezione sussidiaria solo con rischio effettivo di pena di morte, tortura o trattamenti inumani
Per la Suprema Corte però i motivi sollevati sono «infondati» ai fini del «riconoscimento dello status di rifugiato o per la concessione della protezione sussidiaria» in quanto il ricorrente «ha esposto problemi sorti all'interno del proprio villaggio e non ricollegati ad una situazione generale del paese d'origine». Per questo motivo, la nuova misura detta «protezione sussidiaria» che «deve essere riconosciuta quando esiste il rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti» non è applicabile al caso in esame.

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