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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2011 alle ore 10:02.

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Un disastro annunciato (Fotogramma)Un disastro annunciato (Fotogramma)

Era attesa che scoppiasse. È accaduto a Genova, dove il Tribunale del Lavoro ha stabilito un maxirisarcimento di 500mila euro per 15 precari della scuola che hanno fatto ricorso contro il ministero dell'Istruzione. A suo modo una bomba normativa: se è vero che non cambia la natura del rapporto di lavoro (a tempo determinato) è altrettanto un fatto che il risarcimento del danno (pari per ogni lavoratore a 15 mensilità, con tanto di ricostruzione della carriera) per mancata immissione in ruolo non ha precedenti. E un valore segnaletico dirompente.

Non c'è bisogno di un matematico per capire che se questa dei maxirisarcimenti si confermerà come la linea maestra dei tribunali nelle migliaia di vertenze che i precari della scuola hanno avviato, per il ministero, già a corto di risorse, si aprirebbero le porte di un clamoroso default. Si calcola che siano circa 150mila i lavoratori con contratto a tempo determinato potenzialmente interessati a ricorrere alla magistratura.


Potrebbero insomma ballare, per i conti pubblici, qualcosa come più di quattro miliardi di euro. Non a caso l'allarme è suonato forte, ieri, sia nelle stanze del ministero di Maria Stella Gelmini sia in quelle del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.


Tre, a questo punto, le possibili domande. La prima: dovevamo aspettarci una simile svolta? In parte sì, nel senso che il problema non è certo nuovo. Nell'autunno scorso sull'emergenza-precari nella scuola era intervenuto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Poi il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, aveva affermato che senza la prospettiva di una sia pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari si indebolisce l'accumulazione di capitale umano specifico con effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità.


Un piano triennale straordinario di assunzioni era stato messo a punto dal governo di Romano Prodi con la legge finanziaria del 2007. Strada ritenuta impraticabile dal governo Berlusconi alle prese con la difficile quadratura dei conti pubblici: col «milleproroghe» approvato a febbraio 2011 si è deciso di bloccare le graduatorie fino ad agosto 2012 e di bloccare (emendamento della Lega) le richieste per le supplenze brevi in una provincia diversa da quella permanente. Il tutto mentre la legge 183 del 2010 (il «collegato lavoro») consente l'impugnazione dei contratti a tempo determinato già scaduti, avendo alle spalle una direttiva comunitaria del 1999 che permette di impugnare i contratti del personale precario. Seconda domanda: la strada battuta a Genova può essere una soluzione? Non pare proprio. Migliaia di maxirisarcimenti non vanno alla radice del problema, non creano le condizioni per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro e si risolvono piuttosto in un maxiesborso a spese delle casse dello Stato. Insostenibile da ogni punto di vista e, fermo restando il rispetto delle sentenze dei tribunali, sarebbe opportuna anche da parte della magistratura – nel Paese dove la giurisprudenza si è spesso incaricata di alimentare il debito pubblico – una riflessione su questo punto. Ugualmente impraticabile la "regolarizzazione di massa": sanatorie di questo tipo possono condurre solo al disastro.


Terza domanda: cosa si può fare? Più che una leggina o un provvedimento di emergenza servirebbe una svolta ulteriore dopo gli interventi già fatti. Dei problemi della scuola sappiamo tutto. Lo stesso per il sistema di reclutamento pubblico, dove il fenomeno della precarietà incontrollata, tra deroghe speciali e aggiramenti, viaggia assieme al blocco (formale) delle assunzioni. In barba ai criteri di merito, e sempre scaricandosi sul bilancio pubblico.

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