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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2011 alle ore 16:45.

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Avvocati: sulle tariffe massime arriva il via libera della Corte UeAvvocati: sulle tariffe massime arriva il via libera della Corte Ue

La previsione di un tetto massimo alle parcelle che i clienti dovranno pagare agli avvocati non è contraria al diritto dell'Unione europea. Non può essere considerata un motivo che ostacola il libero stabilimento nel nostro Paese di professionisti di altri stati membri. E dunque non viola il principio della libera concorrenza. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la decisione del 29 marzo 2001 causa C-565/08 (si legga il testo su Guida al diritto), accogliendo la tesi difensiva italiana e bocciando il ricorso della Commissione europea.

Le motivazioni dei giudici europei
Secondo i giudici europei, infatti, «la normativa italiana sugli onorari è caratterizzata da una flessibilità che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati». Infatti, osserva la Corte, «per cause di particolare importanza, complessità o difficoltà» è sempre «possibile aumentare gli onorari fino al doppio delle tariffe massime». Mentre per le cause «che rivestono una straordinaria importanza» il ritocco può arrivare fino al quadruplo o anche oltre in caso di «sproporzione manifesta» tra le prestazioni dell'avvocato e le soglie massime previste. Oltre al fatto che «in diverse situazioni» è consentito agli avvocati concludere «un accordo speciale con il loro cliente al fine di fissare l'importo degli onorari».

Una storia che parte da lontano
Il primo richiamo della Commissione sulla possibile incompatibilità delle tariffe per le attività stragiudiziali degli avvocati risale al 2005. La diffida si è poi estesa anche alle tariffe giudiziali. La situazione non si è sbloccata neppure nel 2006, con l'entrata in vigore del decreto Bersani (Dl 248/2006). Infatti, la norma pur abrogando tutte le disposizioni che prevedono l'obbligatorietà delle tariffe fisse o minime - oltre ad aver eliminato il divieto del patto di quota lite - lasciava in vita il tetto massimo per le prestazioni degli avvocati.

La tesi contrapposte
Per la Commissione il sistema tariffario italiano non solo avrebbe generato costi aggiuntivi ma anche impedito l'adeguata remunerazione degli avvocati di altri Stati membri che operassero nel Belpaese. L'Italia ha contestato il carattere vincolante delle tariffe sottolineando le numerose deroghe sia per volontà degli avvocati che dei clienti. Al punto che gli onorari avrebbero un valore sussidiario, a fronte dei numerosi modi di calcolare i compensi, per esempio su base oraria o con il patto di quota lite.

Le conclusioni della Corte
Secondo la Corte per valutare se una normativa pregiudichi l'accesso da parte di operatori di un altro Stato membro va valutata in concreto l'esistenza di condizioni di mercato «normali ed efficaci». E non basta, dunque, il fatto che altri Stati applichino regole meno severe o economicamente più vantaggiose. In definitiva, perciò, secondo i giudici di Strasburgo la disciplina italiana sugli onorari presenta una flessibilità tale da permettere il corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione.

La reazione del Consiglio nazionale forense
«Soddisfazione» è stata espressa dal Consiglio nazionale forense. In una nota dell'organo dell'avvocatura si legge che la decisione conferma quanto da sempre sostenuto dall'avvocatura e cioè che la giurisprudenza comunitaria e quella della Cassazione «hanno sempre ritenuto la piena compatibilità delle tariffe forensi con il diritto comunitario della concorrenza, motivandola con ragioni di interesse pubblico come la tutela dei consumatori e la buona amministrazione della giustizia».

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