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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2011 alle ore 08:17.

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di Francesco Bruno* e Cecilia Carrara Il 7 aprile è stato approvato dal Consiglio dei ministri il decreto che recepisce la direttiva 2008/99/Ce sulla tutela penale dell'ambiente ed estende agli illeciti ambientali la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti (decreto legislativo 231/2001).
La responsabilità amministrativa degli enti per alcune tipologie di reati commessi nell'interesse o a vantaggio degli stessi da dipendenti o amministratori è ormai istituto conosciuto e oggetto di frequenti interventi giurisprudenziali. In caso di violazione, le sanzioni sono ingenti: misure pecuniarie, di confisca e interdittive. La responsabilità amministrativa può essere evitata solo attraverso la predisposizione di specifici modelli organizzativi aziendali. Ora anche i reati ambientali sono inclusi nell'ambito di applicazione del Dlgs 231/01.
La delega era ambiziosa (si veda anche «Il Sole 24 Ore» del 6 giugno 2010). Per un verso, prevedeva il recepimento della direttiva europea sulla tutela penale dell'ambiente, con l'introduzione di specifiche condotte illecite ambientali; per altro verso, ne disponeva il coordinamento con il Dlgs 231/01.
La scelta effettuata in sede di attuazione è stata la più semplice. Non si è riorganizzato in modo sistematico il sistema sanzionatorio penale ambientale, cercando di trovare un equilibrio tra gradazione dell'elemento soggettivo del reato e obbligo di vigilare sui dipendenti e sottoposti. Sono stati invece introdotti due nuovi reati ambientali nel Codice penale, sul presupposto che tutte le altre condotte individuate nella direttiva siano già sanzionate. Gli altri reati a tutela dell'ambiente sono diventati "reati presupposto", con un'importante precisazione: non si è fatta distinzione tra delitti e reati contravvenzionali, con tutte le conseguenze che ne derivano (prescrizione, oblazione, punibilità a titolo di dolo e di colpa, eccetera). Questi i due nuovi reati: il primo (articolo 727 bis) è rubricato «uccisione, distruzione, cattura, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o selvatiche protette» ed è certamente di minimo impatto per le attività produttive. Il secondo è finalizzato a rendere concreta ed efficace la tutela dei siti protetti comunitari della rete "natura 2000": chiunque «distrugge o comunque deteriora in modo significativo un habitat all'interno di un sito protetto è punito con l'arresto fino a 18 mesi e con l'ammenda non inferiore a 3mila euro» (nuovo articolo 733 bis). Si tratterà di comprendere i contorni della condotta rilevante. Se con "habitat" si intendono tutti gli elementi ambientali, cioè sottosuolo, falde acquifere, suolo, acque superficiali e atmosfera, potrebbe essere stata introdotta una fattispecie di reato collegata esclusivamente al fatto di aver effettuato una contaminazione, seppure in zone limitate (quelle protette dalla rete europea "natura 2000"). Se così fosse, nei siti protetti comunitari la conservazione della natura assumerebbe connotati maggiormente incisivi rispetto alle altre zone protette dal diritto interno (parchi nazionali e regionali) che non godrebbero di tale protezione dall'ordinamento penale.
Venendo all'estensione ai reati ambientali del Dlgs 231/01, i più rilevanti (a cui sono collegate sia sanzioni pecuniarie, sia le rilevanti sanzioni interdittive fino a un massimo di sei mesi) sono: lo scarico illecito di acque reflue industriali, la discarica abusiva, le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e l'inquinamento marino colposo e doloso da navi. Per le attività illecite di gestione dei rifiuti, di omessa bonifica di siti inquinati e di emissioni in atmosfera, sono disposte considerevoli sanzioni pecuniarie.
Si noti che nel nuovo decreto non si fa riferimento alle certificazioni volontarie ambientali (Iso 14001 e Emas) come possibile implicito esonero dalla revisione dei modelli. Le imprese dovranno quindi prontamente attivarsi per adeguare i loro modelli, visto che la specificità della documentazione richiesta dal Dlgs 231/01 rispetto alla certificazione volontaria è riconosciuta dalla giurisprudenza.
Il decreto del governo ha il pregio di essere lineare, ma manca di sistematicità. Di qui è immaginabile che le questioni applicative saranno molteplici, specialmente in relazione all'individuazione e valutazione dell'elemento soggettivo del reato. Ancora, dalla prospettiva europea l'introduzione di due soli nuovi reati ambientali potrebbe non essere considerata sufficiente. La parola ora passa ai giudici e alle istituzioni comunitarie.
* Professore associato di diritto ambientale all'Università del Molise
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