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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2011 alle ore 08:36.

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Non è vessatorio il contratto tra il Comune e l'avvocato che lo assiste, se lo stesso fa comunque riferimento ai minimi tariffari, dando all'ente locale solo la facoltà di accettare o meno l'eventuale richiesta di un compenso più alto presentata dal professionista.

La Cassazione – con la sentenza n. 9488 depositata ieri – ha risolto così la lite tra il Comune di Benevento e un legale che lo aveva seguito in una causa sulla base di una convenzione, successivamente oggetto delle contestazioni di quest'ultimo. L'avvocato riteneva illegittima e vessatoria, in prima battuta, la clausola che escludeva la possibilità di determinare in modo autonomo gli onorari, rimettendone la liquidazione all'amministrazione, salvi i minimi tariffari. Inoltre, trattandosi di condizioni generali di contratto che limitano la facoltà di opporre eccezioni predisposte da uno dei contraenti – il municipio campano – non avrebbero effetto, secondo l'avvocato, in quando non specificamente approvate per iscritto. Per la Cassazione, però, l'elenco delle condizioni generali di contratto riportato all'articolo 1341 del Codice civile ha carattere tassativo e non può rientrarvi la clausola che prevede «l'impegno dell'amministrazione committente a riconoscere il minimo stabilito dalla tariffa, con la facoltà discrezionale, per essa, di liquidare, a fronte della notula presentata dal professionista, eventuali maggiori compensi». Trattandosi di clausola che non limita la facoltà di opporre eccezioni, ma definisce l'oggetto del contratto individuando il corrispettivo della prestazione, dunque, non c'è bisogno di un'approvazione scritta. L'entità dell'onorario – è l'altro motivo di ricorso avanzato dall'avvocato – non sarebbe adeguata a importanza dell'opera e decoro della professione. Anche su questo punto i giudici di legittimità sono categorici: «L'autonomia negoziale delle parti, nella determinazione del compenso, non incontra altro limite che quello del rispetto del minimo fissato dalle tariffe inderogabili, sicché, ove non insorga questione sull'osservanza di tali limiti, deve escludersi la possibilità, per il giudice, di ricorrere a una liquidazione del compenso stesso in misura diversa da quella pattuita, a norma dell'articolo 2233 del Codice civile, a prescindere da ogni indagine sulla congruità del quantum convenuto rispetto all'importanza dell'opera e al decoro della professione». Infine la Corte ribadisce che nel litisconsorzio facoltativo disciplinato dall'articolo 103 del Codice di procedura civile il calcolo dell'onorario non può essere fatto sommando il valore delle domande proposte dai diversi attori nell'unico processo. Va applicato invece un criterio di incrementi percentuali, con un tetto del 20% fino a un massimo di 10 parti e ove siano in numero superiore, del 5% per ciascuna parte oltre le prime 10 e fino a un massimo di 20.

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