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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2011 alle ore 08:30.

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La Corte di giustizia Ue interviene sui diritti delle coppie omosessuali che in uno Stato possono registrare la propria unione. Se gli Stati dell'Unione adottano una legislazione nazionale che prevede la registrazione di un'unione anche per coppie dello stesso sesso, i Paesi membri sono tenuti a garantire diritti analoghi a quelli corrisposti a coppie regolarmente sposate.

Tra questi, ad esempio, quelli legati ai criteri per calcolare la pensione complementare di vecchiaia. È il principio stabilito con la sentenza depositata ieri (causa C-147/08, Römer), con la quale Lussemburgo ha riconosciuto che rientra nella competenza degli Stati stabilire le regole in materia di stato civile. Nell'adottare leggi in questo settore le autorità nazionali devono però rispettare il diritto Ue e impedire discriminazioni fondate sulle tendenze sessuali, per garantire la parità di trattamento.

Alla Corte Ue si era rivolto il tribunale del lavoro di Amburgo, chiamato a dirimere una controversia tra un impiegato e il comune sul calcolo pensione complementare: secondo l'impiegato tedesco, non era stato applicato nei suoi confronti lo scaglione tributario corrisposto ai beneficiari coniugati malgrado egli avesse un'unione registrata con un partner dello stesso sesso e la legislazione tedesca, che prevede le unioni civili registrate, avesse provveduto a un progressivo avvicinamento tra le due situazioni. I giudici tedeschi hanno chiamato in causa i colleghi di Lussemburgo per sciogliere alcuni nodi interpretativi sulla direttiva 2000/78 sul principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (recepita in Italia con il decreto legislativo 216/03).

Prima di tutto - ha precisato la Corte Ue - gli Stati sono liberi di scegliere la legislazione in materia di stato civile: è un settore che rientra nella competenza dei Paesi membri a patto però che, nel predisporre la normativa interna, sia assicurato che le disposizioni nazionali non producano effetti contrari al diritto dell'Unione. Gli Stati non sono obbligati a prevedere la registrazione di unioni civili, ma se lo fanno devono assicurare che la legislazione interna non contrasti con il divieto di ogni discriminazione fondata sulle tendenze sessuali in materia di occupazione e di lavoro. Questo anche nei casi in cui il diritto interno non abbia effettuato un'equiparazione generale e completa, sotto il profilo giuridico, dell'unione civile registrata rispetto al matrimonio.

Ciò che conta è che le situazioni siano paragonabili: in questi casi, le autorità nazionali devono prevedere che siano corrisposte pensioni di anzianità, che rientrano nella nozione di retribuzione, identiche proprio perché situazioni paragonabili devono essere trattate nello stesso modo. Nessuna differenza tra il componente di un'unione registrata e quello di una coppia sposata che si distinguono solo perché il primo non può contrarre matrimonio. Il ricorrente ha diritto a un incremento nella pensione di vecchiaia, in quanto pensionato sposato.

E apre la strada al diritto del cittadino di invocare direttamente la norma Ue che vieta ogni discriminazione fondata sul sesso dinanzi alle autorità nazionali, senza attendere una modifica legislativa interna.
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Il testo della sentenza

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