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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2011 alle ore 07:46.

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Una selva di imposte grandi e piccole, ma anche la possibilità di attaccarsi all'inflazione, da una parte. Tassa piatta superconveniente per i redditi alti ma canoni bloccati, dall'altra. La scelta tra regime Irpef e cedolare è sempre il risultato di una serie di calcoli abbastanza complessi, dove entrano in scena almeno due variabili (indici Istat e addizionali regionali e comunali) ma di fatto il piatto della bilancia, almeno nel caso dei contratti a libero mercato, pende praticamente sempre a favore della nuova imposta.

Ed è soprattutto il fattore addizionali locali a renderla appetibile: considerando la sola Irpef nazionale, infatti, i redditi del primo scaglione (fino a 15mila euro) resterebbero sotto la soglia di convenienza, ma ogni contribuente italiano versa alla propria Regione almeno il 9 per mille di addizionale, la quota minima fissata dal decreto legislativo 56/2000. L'opzione per la tassa piatta, di conseguenza, taglia il fisco locale.

Il discorso cambia con gli affitti a canone concordato, dove, nonostante l'aliquota della cedolare scenda dal 21 al 19%, chi dichiara sino a 28mila euro di reddito imponibile annuo trova interesse a restare nel regime attuale. Nel vecchio regime, i contratti calmierati subiscono infatti un drastico abbattimento dell'imponibile, che esclude dalla tassazione il 40,5% del canone. L'aliquota della cedolare, fissata al 19%, recupera solo in parte questo vantaggio, ma non è sufficiente per rendere attrattiva la nuova tassazione anche per i redditi più bassi.

Il grafico a fianco mostra i casi pratici: ipotesi di reddito imponibile complessivo da 14 a 100mila euro e sei casi di canone annuo. Come si vede, le considerazioni sono confermate dai numeri. Il conteggio è stato fatto tenendo conto delle imposte di registro, di bollo (un quarto), delle addizionali, ma non dell'Istat, trattandosi di un calcolo su base annua.

Tra l'altro, dai 28mila euro di reddito dichiarato in su, la tassa piatta è vantaggiosa praticamente in tutti i casi, con qualche piccola variabile legata all'entità del canone chiesto all'inquilino e dal peso delle scelte fiscali della Regione e del Comune. Però, considerando che quasi sei proprietari su dieci dichiarano meno di 26mila euro all'anno (si veda «Il Sole 24 Ore» del 14 marzo) il grattacapo della scelta riguarda molti.

Per misurare la diversa incidenza di queste variabili, sul sito del Sole 24 Ore è accessibile un simulatore che considera anche l'imposta di bollo e di registro e che consente di inserire anche i valori relativi alle addizionali comunale e regionale, oltre all'inflazione presunta per gli anni a venire. Il risultato dà la misura della convenienza o meno della cedolare.

Al di là di queste considerazioni c'è poi una variabile che il simulatore non può considerare: le detrazioni eventualmente spettanti al contribuente, come spese mediche, recupero edilizio (36%) e, per il 2011, il 55% sulle spese per il risparmio energetico. Questi bonus fiscali non possono essere "sottratti" dalla cedolare e potrebbero andare sprecati, se l'imposta dovuta sul reddito (affitto escluso) fosse troppo bassa. Si pensi, per esempio, a un contribuente che ha 500 euro di cedolare, 400 di imposta lorda sui redditi e 1.000 di detrazioni: in questo caso 600 euro di detrazioni vanno perduti.

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TAG: Fisco, Istat

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